La fedeltà – come la bontà, o il coraggio – è una virtù, ed è un atto di libertà. La legge non può prescriverla. Come si può obbligare a essere fedeli, buoni, coraggiosi? Si tratta di moti interiori, individuali. Di scelte legate alla sfera della libertà di ciascuno. Un obbligo le azzera.

Cosa sarebbe un obbligo di generosità, di bontà? Un ossimoro, imposto con una forzatura dalla Fiat-Chrysler, respinto come arbitrario dalla Corte d’Appello di Napoli e infine sancito da una sentenza della Corte di Cassazione di Napoli – cinque coraggiosi operai più che cinquantenni hanno definitivamente perso il lavoro e visto compromessa la loro stessa possibilità di sopravvivenza.

La Cassazione ha dato ragione all’azienda che li ha licenziati in tronco per aver messo in scena fuori dai cancelli della fabbrica, fuori dall’orario di lavoro, la rabbia e il dolore per il suicidio di una loro compagna di cassaintegrazione – la terza persona che si toglieva la vita indicando con chiarezza di non reggere all’abbrutimento di un’esistenza in bilico tra licenziamento e inesistenza lavorativa.

“Il prestatore di lavoro”, recita il dispositivo dell’articolo 2105 del Codice civile, “non deve trattare affari in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. Nella loro qualità di “prestatori di lavoro”, i cinque operai avevano avuto accesso solo a un limitato segmento di un reparto di logistica dello stabilimento Fca di Nola, e prima ancora, quando erano nella fabbrica di Pomigliano, a un frammento di catena di montaggio, ma da tempo erano stati estromessi dalla produzione e messi in cassa integrazione.
Dunque non rubavano prototipi, non copiavano brevetti, non contendevano nuovi mercati, non trattavano affari in concorrenza. Può però darsi che – gridando che tre compagni di cassa integrazione si erano suicidati – divulgassero notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa.

Fatto sta che la Corte di Cassazione di Napoli – rovesciando la sentenza d’Appello che ne aveva disposto il reintegro sul posto di lavoro, peraltro mai concretamente attuato dall’azienda – ha deciso di legittimare sui cinque un uso estensivo di un obbligo che in tal modo minaccia di diventare onnipresente nella vita del “lavoratore subordinato”.

Fare giuramento di fedeltà è un gesto voluto, un impegno individuale che sancisce un vincolo. Si sceglie a chi o a cosa essere fedeli: alla Costituzione, nel caso dell’insediamento del Presidente della Repubblica; alla Repubblica, nel caso dell’ordinamento militare; alle leggi dello Stato, nel momento in cui si richiede la cittadinanza. Tutti questi casi prevedono un obbligo e il tradimento è punito con mano severa. Un doppio vincolo è dire “sii fedele” quando si è spezzata una relazione. Messi fuori dalla fabbrica, in cassa integrazione, confinati in un reparto che raccoglie i fuori-produzione, gli inservibili, gli scarti – a chi, i cinque operai dello stabilimento della Fca di Nola avrebbero dovuto essere fedeli?

I cinque hanno scelto di essere fedeli ai compagni che si sono suicidati, al loro dolore, alla necessità della testimonianza. Hanno deciso di lottare per dire che ci sono regimi lavorativi che tolgono la possibilità di vivere con dignità. Hanno continuato a dirlo anche quando più nessuno era disposto ad ascoltarli. A questo sono stati fedeli.

Noi ci siamo liberamente dati un altro “obbligo di fedeltà”, essere solidali con chi è generoso di sé fino a non sapere dove dormire e cosa mangiare, con chi è coraggioso per impossibilità di essere sottomesso.
Per leggere e sottoscrivere l’appello: https://nolicenziamentiopinione.wordpress.com/,

oppure inviare mail a ellugio@tin.it

Il 30 settembre a Napoli si terrà un convegno ed un’assemblea spettacolo su questi temi”.