Il 15 agosto non è una giornata come le altre in Giappone e nelle due Coree. Il 15 agosto del 1945 milioni di giapponesi udirono per la prima volta la voce del proprio imperatore. Ma allo shock ne seguì un altro: l’imperatore annunciava, seppure con linguaggio aulico, la resa dell’imperialismo giapponese dopo il lancio di due bombe atomiche americane sul suo territorio. L’imperatore utilizzò un’espressione rimasta nella storia, «dobbiamo sopportare l’insopportabile» che finì per riversarsi anche sulla Corea, penisola che, uscita dal giogo dell’occupazione giapponese, sperava in un futuro diverso da quello che ebbe in sorte.

La divisione della Corea, frutto di un’arbitraria decisione, della guerra fredda e poi del conflitto fratricida, finì per essere «insopportabile». E nelle ricorrenze di quella giornata del ’45 di quest’anno, al discorso di ricordo del presidente sudcoreano Moon Jae-in, la Corea del Nord ha risposto annunciando lo stop ai dialoghi di pace, ieri, lanciando due missili balistici a corto raggio. La motivazione che è stata fornita da Pyongyang – la ripresa di esercitazioni congiunte tra Seul e Washington – ha a che fare con la situazione che si è creata da un paio d’anni, da quando il riavvicinamento tra le due Coree si è accelerato, favorito anche dagli eventi mediatici organizzati dal presidente americano Trump.
Si tratta però di un percorso irto di ostacoli e problematiche, di messaggi incrociati e di artifici non solo retorici, basti pensare ai recenti lanci missilistici di Pyongyang: quasi sempre si tratta di segnali per richiedere attenzione essendo l’unico strumento in dote a Kim per ottenere qualcosa. Secondo quanto comunicato dal Nord, le esercitazioni di Usa e Corea del Sud «sono una dimostrazione dell’ostilità di Seul nei confronti del Nord. Come appare ormai chiaro, non abbiamo più nulla da discutere con le autorità sudcoreane, e non abbiamo più alcun desiderio di sedere con loro allo stesso tavolo».

Quanto al lancio dei missili, una nota diramata ieri afferma che lo stesso presidente Trump riconosce a Pyongyang il diritto all’autodifesa, specificando che «si è trattato di test missilistici di entità circoscritta, come quelli di molti altri Stati». Un messaggio ambivalente, perché nel testo sembra chiaro il fatto che ormai la Corea del Nord sembra riconoscere solo Trump come interlocutore.