Vorrei andare, ma non posso. È questo lo stato d’animo di cardinali, vescovi e parroci rispetto al Congresso mondiale delle famiglie. Parteciperebbero volentieri perché, anche sotto il regno di papa Francesco, la «famiglia naturale» resta un «principio non negoziabile», come ha ribadito ieri lo stesso pontefice a Loreto: «Nella delicata situazione del mondo odierno, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna assume un’importanza e una missione essenziali». Ma non possono, perché gli organizzatori – le associazioni pro life più agguerrite – hanno dato al Congresso un taglio oltranzista, scegliendo i relatori fra gli ultrà antigay, antidivorzisti e antiabortisti dei cinque continenti.

Se a questo si aggiunge che anche mezzo governo, la componente fascio-clerico-leghista (con i ministri Salvini, Fontana e Bussetti), insieme ai parlamentari Meloni e Pillon saranno a Verona, la faccenda per la Chiesa si complica: sarebbe schizofrenico oggi attaccare Salvini perché vorrebbe buttare a mare i migranti e domani applaudire il vicepremier che dirà che «tutti i bambini hanno diritto ad avere una mamma ed un papà». Cosa che in realtà pensano un po’ tutte le gerarchie ecclesiastiche.

Certo se Salvini fosse rimasto al Viminale a scattarsi selfie sarebbe stato più semplice. Ma visto che il vice di Conte sarà sul palco di Verona – nel sito web del Congresso la sua foto è la prima fra gli oltre 70 relatori -, meglio scegliere un profilo basso, approvando l’iniziativa senza però benedirla solennemente, come ha fatto pochi giorni fa con astuzia diplomatica il segretario di Stato vaticano, cardinale Parolin: «Siamo d’accordo nella sostanza non sulle modalità». Quindi Verona ha il placet del Vaticano e dei vescovi, i quali però è meglio che non si facciano vedere con compagni poco raccomandabili.

A ruota di Parolin, il presidente della Cei, cardinal Bassetti, che in un’intervista al «Giornale» rilanciata dai media dei vescovi ha detto che «la famiglia, intesa secondo il dettato della nostra Costituzione (sottinteso: uomo-donna sposati, ndr), ci sta davvero a cuore, convinti che in essa risieda la struttura portante della nostra società». Certo, ha aggiunto, «la Cei non è tra gli organizzatori» e «avremmo preferito uno stile diverso», ma questo non è un motivo per non sottolineare «la natura e la rilevanza della famiglia», che deve impegnare «la politica a collocarla tra le priorità della propria agenda». La stessa posizione dell’istituzionale Forum delle associazioni familiari, che infatti non figura fra gli aderenti.

La strategia del «sì però» è resa evidente da quanto accade nella Chiesa veronese. Il vescovo, monsignor Zenti, parteciperà al Congresso. Contemporaneamente la diocesi ha diffuso una nota in cui si ribadisce il valore della «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» e come «sorgente fondamentale e vitale della convivenza civile», ma nello stesso tempo «si astiene dal prendere parte al conflitto politico su un tema che non merita il linguaggio violento e ideologico di questi giorni».

C’è però anche una Chiesa che non usa la diplomazia delle parole e pensa che la famiglia sia ormai un soggetto plurale. «Il Congresso delle famiglie? È una vergogna», dice don Luigi Ciotti. Per Noi Siamo Chiesa, quello di Verona è un raduno all’insegna del motto «Dio patria famiglia», in cui verranno espresse «posizioni retrive che nulla hanno a che fare con il Vangelo». Le donne delle Comunità cristiane di base sottolineano che «la famiglia naturale non esiste», esistono invece «vari modelli di famiglia che sperimentano forme anche nuove di solidarietà, genitorialità basate su amore e rispetto reciproci». E le Comunità di base italiane affermano in un appello: «Le tesi oltranziste e fondamentaliste del Congresso non ci appartengono, ci è del tutto estraneo un modo di intendere il cristianesimo assai lontano dal Concilio Vaticano II».