Nella Comunità ebraica di Roma in attesa delle elezioni di domenica 14 giugno la campagna elettorale è decisamente animata. La scommessa è coinvolgere nel voto anche coloro – e sono la maggioranza – che spesso disertano l’appuntamento elettorale (vota infatti poco più del trenta per cento degli iscritti e delle iscritte): per questo oltre che nei luoghi consueti la campagna elettorale si svolge nei gruppi su facebook e nei blog che si aggiungono quindi alle cene, agli incontri e alle – poche, anzi nulle – iniziative istituzionali.

Per la più antica comunità ebraica della Diaspora la posta in palio è alta, sembrano infatti aprirsi nuovi spazi e nuove prospettive dopo che – entrando in vigore una nuova norma statutaria che vieta la ricandidatura a chi ha effettuato tre mandati – giunge al termine l’ininterrotto incarico di Riccardo Pacifici, dal 1993 consigliere, poi vicepresidente e presidente negli ultimi sette anni.

La sua presidenza ha indubbiamente segnato il ruolo e l’immagine dell’ebraismo romano e non solo, e oggi, a contendersene l’eredità – significativa in termini di visibilità pubblica, oltre che delle impegnative responsabilità interne – sono quattro liste contrapposte con tre candidate donne alla presidenza. E per la comunità di Roma un presidente donna sarebbe una novità.

La lista «Per Israele», quella fino ad oggi capitanata da Pacifici, candida Ruth Dureghello, assessore alle scuole uscente. Il programma sembra essere all’insegna della continuità, sostengono Israele «senza se e senza ma» e basta questo slogan ad accendere l’animosità: le altre liste infatti rifiutano con determinazione l’insinuazione di non essere sufficientemente filoisraeliani.

E’ interessante osservare però che se nel dibattito il ruolo del legame con Israele sembra essere polemicamente centrale i vari programmi si occupano sostanzialmente di altro. Il legame con Israele, il suo diritto ad esistere entro frontiere sicure e riconosciute, non è infatti oggetto di discussione reale per nessuna delle varie anime della comunità ebraica romana.

Non a caso comunque la lista «Menorah» (il candelabro a sette braccia simbolo ebraico per eccellenza) aggiunge la dicitura «una scelta illuminata», ha candidato presidente l’imprenditore Maurizio Tagliacozzo, e rivendica decisamente l’interruzione della sovraesposizione mediatica di questi anni e la necessità di riportare il dibattito e il confronto all’interno della Comunità per proporre una comunità inclusiva.

Il tema dell’accoglienza è centrale anche per la lista di sole donne «Binah», che, non a caso, aggiunge «CER (acronimo di Comunità ebraica di Roma) posto per tutti», e candida alla presidenza Claudia Fellus, nata in Libia e giunta in Italia con l’esodo della collettività tripolina a seguito della guerra dei sei giorni del 67, moglie del giornalista Mario Pirani, scomparso nelle scorse settimane. Il gruppo di donne importa così a Roma l’esperienza maturata in ambito nazionale dove con un risultato inaspettato per un’operazione così di rottura, vennero elette dalla circoscrizione di Roma all’Unione delle Comunità ebraiche Italiane in otto su venti.

Ultima lista, anche in ordine di tempo, con una candidatura a sorpresa che ha scombinato le carte e le previsioni, la lista «Israele siamo noi» che candida Fiamma Nierenstein, giornalista, scrittrice, ex deputata del Pdl. «E’ un momento storico – spiega Nierenstein nei materiali della campagna elettorale – in cui l’ebraismo europeo è costretto a fronteggiare un’ondata di antisemitismo spaventosa».

Quattro liste che dovranno eleggere 28 consiglieri e che si troveranno a decidere anche di temi che sono spesso lontani dai riflettori: di scuola – la comunità di Roma ha infatti una scuola dagli asili alle superiori – e di sport, di cimiteri, di culto, della gestione del museo, di antisemitismo, della sicurezza della proprie istituzioni, del modo di affrontare e gestire i rapporti con le comunità ebraiche di rito non ortodosso che sono state aperte anche a Roma.

Ma al di là delle polemiche e delle strategie elettorali il segno forte di queste elezione sembra la necessità di una nuova riflessione – collettiva e, possibilmente, condivisa – sul tema della capacità di stare insieme, osservanti o meno, di dare e darsi una formazione culturale ebraica capace di affrontare le sfide di un mondo sempre più globale, di rifiutare il rischio della polarizzazione, con rischio di frammentazione, di una comunità che ha visto in questi anni aumentare il numero di coloro che studiano e osservano le norme tradizionali, occupandosi poco del destino degli ‘altri’: ebrei per famiglia e cultura ma lontani dalla pratica dell’ortodossia.

Le urne resteranno aperte per l’intera giornata di domenica 14 giugno fino alle dieci e mezza di sera in seggi sparsi per tutta la città, urne collocate solitamente nelle diciotto sinagoghe che rappresentano l’attuale contributo ebraico alla multiforme vita religiosa capitolina. Ma per conoscerne l’esito, che, a seconda di chi uscirà vincitore, potrebbe riguardare in modo non marginale la vita culturale e religiosa della capitale, non resta che attendere.