Il primo giugno Renzi ci metterà per la prima volta la faccia. Sarà a fianco di Roberto Giachetti in un’iniziativa elettorale a Roma. Lo annuncia il candidato stesso, soddisfatto: «Visto che il mondo intero ipotizza che Renzi abbia abbandonato il suo candidato faremo una manifestazione insieme in un teatro romano, così tutti si rilassano». Non si rilassa nemmeno un po’ invece la rivale a cinque stelle Virginia Raggi. Anzi, s’imbufalisce e strepita, forse anche troppo: «È scandaloso. Il premier non sta facendo il premier. Deve svolgere il suo ruolo in maniera imparziale, invece continua a fare campagna elettorale e ad attaccarmi».

Per la verità pretendere che un premier che è anche segretario di partito ignori la campagna elettorale sarebbe eccessivo, e certo non si può dire che sin qui Renzi abbia esagerato in presenzialismo elettorale. Casomai si avvicina di più alla verità il contrario: ha fatto il possibile per smarcarsi in ogni modo, al punto di avviare con mesi di anticipo la campagna referendaria per distrarre dalle elezioni davvero imminenti, quelle del 5 giugno.

In realtà che meditasse di rompere il silenzio elettorale nello scorcio finale era noto già da giorni. È facile che, dopo Roma, benedirà di persona i suoi candidati anche in altre piazze.

In parte è una scelta obbligata. Disertare del tutto la campagna elettorale vorrebbe dire esporsi all’accusa, in caso di esito infausto, di aver abbandonato a se stessi i campioni del Pd. Per difendersi, il premier dovrebbe impugnare proprio il suo ruolo istituzionale, e la minoranza interna non aspetta altro: l’obiettivo dei bersaniani è infatti strappare al premier la segreteria, lasciandogli il governo ma riprendendosi il partito. Va da sé che Renzi non ha alcuna intenzione di ottemperare al gentile invito e quindi, tanto più in una fase di scontro di nuovo molto acuto sulla legge elettorale, con Bersani che martella per ottenere quella modifica dell’Italicum che Renzi non concederà mai, il ragazzo di Rignano sta ben attento a non lasciare troppe armi propagandistiche agli avversari.

Ma nella scelta di entrare personalmente in scena nella campagna elettorale pesano anche altri elementi: Renzi comincia a sperarci. Fino a pochi giorni fa le previsioni al Nazareno erano catastrofiche e il gran capo non aveva alcuna voglia di legare la propria smagliante immagine a un tracollo. Da un certo momento in poi il clima è cambiato. I sondaggi riservati hanno registrato prima un aumento dei consensi per Giachetti e una battuta d’arresto per la rivale numero uno, Raggi. Poi negli ultimi giorni i responsi si sono fatti ancora più rosei: Giachetti continua a crescere, Raggi inizia a perdere quota.

Pesa certamente il fattaccio di Parma e la reazione, decisamente sbagliata, della candidata romana. Con le sue risposte ha dato l’impressione di farsi telecomandare, con piena sottomissione, dal vertice pentastellato, tanto che Grillo, a differenza del fiorentino, non affiancherà a Roma la sua candidata proprio per stemperare quell’immagine esiziale. Quasi certamente c’azzecca anche l’occupazione in pianta stabile del teleschermo pianificata dagli strateghi renziani, il cui credo non è diverso da quello di Arcore: più campeggi in tv, più voti prendi. Di certo ha sortito l’effetto desiderato il cambio di regia della campagna, affidata direttamente al portavoce di Renzi. Filippo Sensi in queste cose ci sa fare e non ha perso tempo nell’intervenire col bisturi sull’immagine un po’ musona, «alla Luigi Tenco», dell’ex radicale.

Se si aggiunge che anche a Milano, Sala, pur non avendo la vittoria in tasca, avrebbe allungato la distanza su Parisi e che l’unica piazza in cui davvero non c’è partita pare Napoli, si capisce perché Matteo Renzi, nel caso di una vittoria fino a ieri insperata, voglia la sua ampia fetta di gloria.