Fumata nera. Il vertice del centrodestra si conclude senza indicare neppure un candidato. Nella piazza romana, quella principale, i nomi in ballo sono due e a decidere sarà un ballottaggio», annuncia Vittorio Sgarbi. I papabili in corsa sono Enrico Michetti e Simonetta Matone. Tajani aveva ribadito l’appoggio a una candidatura Gasparri ma era una dichiarazione di bandiera e l’ex ministro non è mai stato davvero in corsa. Giorgia Meloni avrebbe voluto chiudere subito su Michetti, l’amministrativista beniamino delle tifoserie via radio. A fermarlo per ora è stata la Lega che punta invece sulla magistrata Simonetta Matone, nota al grande pubblico soprattutto per le frequenti apparizioni a Porta a Porta anche se in realtà è uno dei pezzi da 90 della procura di Roma. I concorrenti saranno “sondati” nei prossimi giorni e l’incontro chiave sarà quello tra l’amministrativista e Salvini. In vantaggio c’è sicuramente lui, perché Roma è targata FdI. Ma gli azzurri appoggiano invece Simonetta Matone, così la partita non è del tutto chiusa.

La marcia rilassata della destra non deve stupire. Le divisioni pesano ma è anche vero che, a torto o a ragione, tutto lo schieramento è convinto che non ci sia fretta. Tutti danno per scontato l’arrivo al ballottaggio e ritengono che la partita vera si giocherà solo a quel punto. Anche perché la campagna finale sarà di taglio molto diverso a seconda di chi ci si troverà di fronte, se Raggi o Gualtieri. Ma da quel punto di vista, al momento, nessuna previsione è possibile. Meloni però a questo punto perdo la pazienza ed esce allo scoperto: «A Roma e Milano non possiamo più perdere tempo. Abbiamo profili potenzialmente vincenti ma dobbiamo fare la campagna elettorale. Matone è molto interessante ma Michetti è la persona che i sindaci chiamano quando hanno un problema amministrativo da risolvere ed è lui il mio candidato». La dead line, per sorella Giorgia è martedì prossimo. Oltre non si può andare.

Al vertice si è parlato quasi esclusivamente di Roma e in generale dell’opportunità di schierare candidati della società civile. Il solo politico ancora in campo, peraltro giornalista fino 3 anni fa, è Andrea Cangini, forzista ed ex direttore del QN. La Lega però ha tirato fuori in alternativa l’editore Roberto Mugavero che tra l’altro con la sua casa editrice Minerva pubblica anche i libri di Cangini. Anche se Sgarbi dà per certa la vittoria dell’ex giornalista la partita anche qui è aperta. A Milano la situazione è rovesciata rispetto a quella della capitale. FdI ha voce in capitolo, tanto da aver spinto con la sua opposizione prima esplicita e poi sorda però mai davvero superata Albertini al ritiro.

L’ultima parola qui è comunque della Lega, che però un nome da spendere ancora non ce l’ha. Salvini assicura che lui il candidato giusto l’aveva individuato. Peccato che abbia dato forfait, di chiunque si tratti, per ragioni di salute. Tutto da rifare. In campo rimangono Racca e Dallocchio, con Meloni che assicura di non avere problemi con nessuno dei due ma chiede verifiche “delle competenze e di una visione compatibile con la nostra, altrimenti diventa controproducente”.

Nel summit tutti sono stati attenti a non nominare nessuno dei molti problemi che affliggono la destra. La Lega quasi raggiunta da FdI che nei sondaggi è ormai il secondo partito. La nascita di Coraggio Italia, la formazione di Toti e Brugnasco che manda fuori dai gangheri i gemelli siamesi di Forza Italia. La proposta di unificazione di Salvini che mezza Fi, quella che sta al governo considera né più né meno che un tentativo d’annessione.