Il pensiero umano e la sua espressione hanno sempre avuto una forte tendenza a spostare le metafore dall’ambito della conoscenza a quello della realtà conosciuta. Una tendenza a volte irresistibile. Così nel XVIII secolo il cosmo divenne un immenso ed esattissimo orologio e Dio venne definito il Grande Orologiaio; durante la Rivoluzione industriale l’universo fu una Grande Macchina e Dio l’ingegnere supremo; nel XX e XXI secolo il mondo si è ovviamente trasformato in un «Grande Computer» e Dio in un «Grande Programmatore», come rilevano Giuseppe O. Longo e Andrea Vaccaro in Bit Bang. La nascita della filosofia digitale (Apogeo, pp. XVII-217, euro 18). Non basta: da molti l’informazione è presentata come l’arché da sempre ricercato, «il principio primo della realtà». Il bit sarebbe «l’essenza delle cose».
Se il mondo è un immenso computer, gli enti, gli eventi e i processi diventano tutti forme della computazione. All Is Algorithm!: così suona la frase-simbolo della filosofia digitale di Chaitin», la Natura non farebbe altro che computare e la computazione sarebbe la vera e propria regola aurea dell’essere: «Tutto computa. Non solo: tutto computa e tutto è prodotto dalla computazione. Non solo: tutto computa, tutto è frutto della computazione e tutto può essere trasformato in un dispositivo computante, cioè in un computer, lo strumento che computa per eccellenza». Cibernetica è una parola che sintetizza tali strutture, in quanto essa designa «la scienza, o l’arte, di ‘governare’, ovvero conoscere, controllare e dirigere i flussi di informazione».
Nel riepilogare autori e teorie accomunati dall’appartenenza alla filosofia digitale, questo libro delinea pertanto una storia del pensiero europeo nella prospettiva di un suo convergere verso il bit e verso l’informazione. I pensatori delle origini (in particolare Pitagora), Platone, Aristotele, Galilei, Leibniz, Kant, Turing vengono descritti come i precursori dell’Universo computazionale di cui parla ad esempio Stephen Wolfram, per il quale tale Universo «è certamente la ‘cosa’ più vicina al Mondo delle Idee di Platone degli ultimi ventisette secoli».
Nella filosofia digitale si assiste dunque a una vera e propria rinascita della metafisica, così come accade in molte speculazioni della fisica contemporanea. Della metafisica, tuttavia, la filosofia digitale rischia di condividere non soltanto il rigore formale e l’aspirazione alla totalità ma anche le tendenze dualistiche/funzionalistiche – per le quali ciò che conta è l’informazione e non il suo supporto fisico, così come ciò che conta è l’anima e non il corpo che ’la ospita’- e la pretesa di trasformare gli schemi mentali umani negli schemi strutturali del mondo. È nella seconda parte di questo libro che tali posizioni – con i relativi rischi – vengono temperate. La lunga e articolata conversazione di Giuseppe O. Longo con Andrea Vaccaro riporta l’analisi su un piano assai più critico e quindi più fecondo. Longo pone dei limiti all’utilizzo ontologico delle metafore – compresa quella computazionale – e mette assai di più l’accento sulla definizione data da Gregory Bateson dell’informazione come differenza che genera altre differenze: «Bateson afferma che l’informazione sta nelle differenze: sono queste a far muovere il mondo dei viventi. Differenze rilevate, interpretate e impiegate per agire. L’unità d’informazione è la minima differenza capace di generare una differenza lungo i canali su cui si propaga l’informazione». In generale, Longo si esprime giustamente contro qualunque forma di riduzionismo, compreso quello informazionale.
Non è infatti possibile «simulare gli oggetti fisici soltanto con l’informazione»: se con un computer simuliamo un matematico ogni suo risultato sarà identico a quello di un matematico in carne e ossa ma se a essere simulata è una mucca il latte prodotto durante la simulazione non sarà in alcun modo bevibile se non da un contadino altrettanto simulato che simula di berlo. «La vita non è puro codice».
La natura anche analogica e non soltanto digitale dell’essere si deve applicare alle strutture fondamentali del mondo, allo spazio e al tempo, i quali sono certamente misurabili con grande esattezza ma che non consistono solo e in primo luogo in tale misurazione. Allo spazio e al tempo, come al corpomente, al linguaggio, alla coscienza e alla stessa differenza, è dunque applicabile l’interrogativo che chiude il testo: «Ma la filosofia digitale può spiegare il sentimento?». Può certamente aiutare a interpretare il sentimento e tutto il resto, ma non può presumere di coincidere con l’intero, che rimane sempre oltre ogni categoria escogitata dalla nostra mente e dalle tecnologie che da essa scaturiscono.