«Bisogna smetterla con i Dpcm», dice ancora una volta Renzi. Ma non dice così l’accordo che anche Italia viva ha firmato con il resto della maggioranza e il governo. Come anticipato dal nostro giornale, è arrivato ieri mattina in aula nella forma di emendamento al decreto legge 19 (battezzato decreto Covid-19 o decreto Lockdown, è il testo di legge che deve mettere ordine nel caos degli atti normativi nazionali e regionali con cui si sta affrontando l’emergenza). L’emendamento – che sarà approvato oggi – dà per scontato che nuovi Dpcm seguiranno, Conte del resto lo ha annunciato in aula la settimana scorsa e ne sta preparando un altro per le riaperture del 18 maggio. D’ora in poi, però, lui (o un ministro da lui delegato) dovrà «illustrare» le sue decisioni alle camere «al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati».

La formula non prevede necessariamente un voto del parlamento sui Dpcm, ma nemmeno lo esclude ed è assai probabile che le opposizioni non rinunceranno a presentare una risoluzione sulla quale contarsi. In ogni caso gli «eventuali indirizzi» delle camere non sono vincolanti. Al governo anche questa limitata concessione a una forma di validazione parlamentare dei Dpcm (ricordiamolo, i decreti del presidente del Consiglio che per l’emergenza sanitaria hanno limitato alcuni diritti civili sono atti adottati sotto la sua esclusiva responsabilità, non richiedono il concorso del Consiglio dei ministri né la firma del presidente della Repubblica) è sembrata eccessiva. La natura dell’atto è quella di un provvedimento di urgenza, e dunque nell’emendamento presentato ieri è stato previsto anche il caso in cui l’informativa preventiva alle camere sul contenuto del Dpcm non sia possibile «per ragioni di urgenza connesse alla natura delle misure da adottare». In questo caso, a discrezione del governo, tutto come prima: il presidente del Consiglio o un altro ministro sono tenuti solo a riferirne alle camere entro i 15 giorni successivi e non è prevista la possibilità di votare.

Il dem Ceccanti, autore dell’emendamento originario che ha raccolto l’insofferenza del Pd per l’eccesso di Dpcm, rappresentata in aula dal capogruppo Delrio e dal vice segretario Orlando, si dice soddisfatto perché «nella nuova fase l’obiettivo non è tanto quello di parlamentarizzare i Dpcm ma quello di farne il meno possibile e ricorrere ai decreti legge». Intanto chiede a Conte di venire a presentare in aula il prossimo Dpcm, quello sulle nuove riaperture, anche se la nuova disciplina non sarà entrata in vigore. Com’è assai probabile, visto che il traffico dei decreti legge è diventato un ingorgo: al seguito di quello che sarà approvato oggi se ne annunciano altri due (decreto maggio e decreto carceri) e ce ne sono già altri quattro (elezioni, intercettazioni, scuola e liquidità) di cui l’ultimo, l’unico di spesa, è in commissione gravato di oltre mille emendamenti di maggioranza. Altro segno della tensione interna ai giallo-rossi. Per affrontare in condizioni di accettabile sicurezza la lunga serie di votazioni che si annuncia, ieri sera la conferenza dei capigruppo della camera ha deciso di installare 120 postazioni di voto nel “transatlantico”, il largo corridoio esterno all’aula. Si aggiungono a quelle sulle tribune dell’emiciclo che ieri non sono state sufficienti a garantire il rispetto delle distanze di sicurezza