Guido Monti, nato a San Benedetto del Tronto nel 1971, ma da anni residente di Reggio Emilia, ha pubblicato il bel libro di poesie Fa freddo nella storia, (La collana, Stampa). Il titolo del libro è tratto dalla poesia «Proposito» di Giorgio Caproni. Alcuni testi della raccolta sono già stati pubblicati in importanti riviste poetiche – «Italian poetry review», «Paragone», «Nuovi argomenti» – e testimoniano il lungo e accurato lavoro di ricerca dell’autore.

Originale la struttura delle singole composizioni, spesso costitute da una sola frase che si snoda liquida, puntellata da virgole, fino al termine del componimento, dando vita a versi agili e scorrevoli, nitidi, pregnanti, spesso colloquiali, che rimandano ad echi e assonanze, più che a Caproni, dell’esperienza in versi di D’Elia e Cucchi, ma anche di Magrelli e Caproni, per altro segnalati dallo stesso autore attraverso citazioni e dediche.

Ci troviamo qui di fronte a una parola spesso elegiaca, in parte piena di nostalgia verso una parola alta e forte, – la parola poetica del Novecento appena terminato, ma non solo – che tuttavia, pur lontana da ogni forma di avanguardia, neoavanguardia o sperimentalismo fine a se stesso, non rinuncia a sporcarsi le mani, quando è il caso – verrebbe da dire, «sporcarsi» la lingua, – coi mutamenti del linguaggio di oggi, sempre più rapidi e profondi, che sembrerebbero costituirne una realtà fittizia quanto pervasiva: «le parole, sempre dette/ in racconti e storie ora invece abbassate in scoop/ da speaker al soldo del basso impero».
Come accade nella poesia più interessante del secondo Novecento italiano, Monti cerca di allontanarsi coraggiosamente dalla poesia ermetica per recuperare un interesante verso narrativo, articolato in ampie volute prosastiche, dando vita a un verso materico capace ancora di dire, nominare, sorprendere, raccontare. Significativo, in tal senso, il poemetto epico-ciclistico Vite (Bartali vs Bobet), dove si parte da strade che erano briciole, «i manubri grossi e ricurvi/ le gomme di scorta a otto sul petto», per raccontare una passione comune col padre: «intanto col babbo la gusto tutta la gara d’oggi,/ rovente l’aria, in strada aspettiamo il serpentone/ tutto sibili punta fine pancia larga ad occupare/ la carreggiata della strapaesana col campanile in alto».

Tutta la poesia di Monti è inoltre attraversata da «venature forti, ben visibili, di poesia civile», il cui merito, – sottolinea Maurizio Cucchi nella prefazione, – «è però anche quello di non scivolare nei rischi di un atteggiamento ideologico». Ecco come vengono registrati i cambiamenti dell’Emilia: «ora invece è pianura piatta, fitta nebbia dietro il rigo/ sospeso del cavaliere d’Italia che tu m’indichi/ man mano camminando e mi ridici ancora col riso/ traversando la bruciata luogo d’incontri emaciati / e scorticati, tu cuore d’Emilia».