«Intrecci di ceramica e parole» si intitola l’esposizione di Valerio Diotto alla Casa delle Letterature, a Roma. La ricerca di Diotto si confronta e si poggia su una approfondita conoscenza della storia dell’arte ceramica e delle sue opere e scuole. Non a caso la sua indagine creativa prende origine dallo studio dell’antico laggione genovese assunto come paradigma. Cultura e sperimentata sapienza tecnica sono doti essenziali alla elevata e rara qualità della sua arte. Osservo un disegno di Diotto, lo studio preparatorio alla realizzazione di una sua Composizione di forme.

Il suo intento è di trarre uno stilema dalle linee che designano il profilo del corpo di un cigno. Di quel ‘contorno’ registra sinuosità e volute, dipana compiutamente il tracciato fino a ricongiungere il punto di avvio con il punto di arrivo e restituisce il corpo di cigno in una sua riconoscibile dinamica formale. Lo conforma, lo uniforma come un cartografo farebbe nel rilevare l’andamento di un tratto di costa o l’ansa del letto di un fiume. Dalla avvenuta conduzione a profilo della forma cigno, Diotto trae un modulo. Calcola la compatibilità della voluta desunta – lo stilema «Cigno» – entro i margini della figura geometrica del triangolo rettangolo. Sicché le anulari linee, misurate lungo i lati e calibrate all’interno dell’area del triangolo rettangolo, acquistano la loro ‘giustezza’, intendo la loro compatibilità a combaciare per accostamenti speculari. Da stilema si fanno, appunto, modulo predisposto per collimare, capace di generare, per via di reiterate giunture, estendendosi per compatibili innesti e calcolate inserzioni, un mondo. La composizione di questo «mondo-cigno» è affidata da Diotto alla realizzazione ceramica delle tessere in via di principio innumeri, coniate uguali nel profilo, cangianti invece nei cromatismi.

Il contorno modulare delle tessere consente la reiterazione degli accostamenti in scambievoli accordi, tali da permettere la loro realizzazione come un continuum. Un continuum costituito dallo stilema «Cigno» che dà ragione e conto d’un mondo formale in sé compiuto e indipendente. Nell’arte ceramica modulo vale piastrella. E Diotto realizza piastrelle che gli consentano di dare corso a una Composizione di forme. L’opera non è un’opera ‘aperta’.

È, a ben considerare, un’opera che esclude interruzioni. È suscettibile, sì, di soste o sospensioni, ma come è della pausa che si concedono i lavoranti Cosmati: differire d’alcun tempo la messa in posa intrapresa e riprender forza, per poi continuare con maggior lena il compito loro a commettere tasselli. Potrebbe bene trattarsi della messa in opera di Cigni che nell’anno 2001 Diotto, in un eloquente exemplum di sei tessere dai diversi colori (due bianche, due celesti, una azzurra ed una nocciola) e della misura complessiva di 45 centimetri per 41, ci fornisce come il nucleo generatore d’uno spazio non limitato.

È la medesima messa in opera che richiedono altre Composizioni di forme quali Ottagoni del 2002 e Rettili del 2008. O Tre uccelli del 2009 e Pesci sinuosi del 2015. Nello spazio di Composizioni di forme, pensato senza limiti di estensione, è l’abbinamento dei cromatismi che determina il loro mirabile andamento ritmico.

La scansione dei colori nella combinazione geometrica preordinata, in virtù della serialità, libera corrispondenze armoniche, intona motivi che declinano la cifra ornamentale in frase musicale. E torna bene, credo, un opportuno richiamo alle unità ritmiche in battere e in levare che alternano la metrica delle ‘composizioni’ di Diotto in tesi e in arsi[. Una cadenza che Diotto persegue e che realizza in sintesi nelle Composizioni di forme anche quando articolano uno spazio circoscritto e in sé compiuto. Alludo a due opere del 2017 Incroci (centimetri 135×100) e Cometa (centimetri 65×45). In Cometa e in Incroci la commettitura dei singoli tasselli avviene nel rispetto di due ordini compositivi, quello geometrico e quello cromatico. Al tono dei colori dell’‘invetriatura’ è affidata la medesima rilevanza e funzione, nel comporsi della forma, che riveste la struttura nella sua tenuta ‘architettonica’ stabilita per contorni che combaciano.