Roman Vlad era un conversatore impareggiabile; sapeva che il racconto dei suoi primi anni di vita – era nato il 29 dicembre 1919 a Czernowitz in Bucovina – suscitava grande interesse e così lo ripeteva volentieri a quelli che, attratti dalla lieve sfumatura esotica del suo accento, glielo chiedevano. «Sono nato, per così dire, sulla terra di nessuno, giacché i trattati di pace siglati a Parigi, ancora non avevano definito l’assegnazione della Bucovina alla Romania». Il racconto lo ascoltai a più riprese negli anni della nostra amicizia e ogni volta si arricchiva di un dettaglio prezioso. «Ho conosciuto Paul Antschel e non Paul Celan… Secondo la grafia romena il nome Antschel si dovrebbe scrivere Ancel. Amici romeni gli suggerirono di anagrammarlo invertendo le sillabe. Per cui diventò Celan».

I due, Vlad e Celan, si conobbero da ragazzi, stavano insieme spesso e volentieri e una delle loro fantasie predilette consisteva nell’immaginare mirabolanti partite a scacchi mentre d’inverno pattinavano su una pista non lontana dalla scuola. Paul recitava poesie con voce sommessa e penetrante, specialmente quelle di Rilke, e Roman, diventato sotto la guida di una maestra viennese un pianista provetto, suonava la Sonata di Alban Berg nei salotti in cui si radunavano gli amici. In quell’estremo lembo di una mitteleuropa ridotta a un fantasma quei ragazzi si dedicavano alle loro passioni con la spontaneità e la fiducia di chi crede che il disegno del mondo sia già compiuto. A proposito della musica Roman ci racconta: «Non ho mai programmato di diventare compositore. Per me comporre è qualcosa del tutto naturale e spontaneo; posso dire che sono nato con la musica dentro e fuori e vivo sempre in un mare di suoni».

Quel piccolo mondo antico evocato in maniera struggente nelle prime pagine dell’autobiografia che Vlad pubblicò da Einaudi nel 2011, è popolato di figure, paesaggi e colori identici a quelli che troviamo nei ricordi d’ infanzia di Elias Canetti e di Sandor Marai e anche in questo caso si tratta solo del preludio di una lunga storia che si sarebbe svolta altrove: a Roma dove Vlad si sarebbe trasferito nel 1939. Ma perché a Roma? Dall’autobiografia veniamo a sapere che Vlad aveva sognato di andare a Vienna a studiare composizione con Anton Webern ma il padre aveva posto come condizione che accanto a quelli musicali affrontasse gli studi di ingegneria. Grazie a una borsa di studio del governo romeno Vlad arrivò a Roma per studiare ingegneria navale ma in quella città, che avrebbe finito di amare più di qualsiasi altra, si produsse l’incontro con Alfredo Casella del quale divenne allievo. Vlad aveva un forte senso della tradizione ed era fiero di entrare a far parte di una scuola che attraverso Fauré si diramava verso il suo maestro, verso Ravel e verso Enescu. Sulla sua personalità mitteleuropea, nutrita dell’insegnamento di Schönberg, Berg, Webern e Bartók, si innestò quella francese, arricchita dalle cadenze prontamente assimilate dallo stile italico. Il risultato fu quello di una fertile predisposizione alle mediazioni culturali. Si definì così l’orizzonte culturale e sociale nel quale il nostro si addentrò con una versatilità pari all’affabilità. Petrassi e Dallapiccola, Peragallo, Maderna, e quindi Elliott Carter, Henze, Berio, Camillo Togni…. Vlad conobbe tutti i musicisti, compositori, interpreti, direttori d’orchestra, organizzatori e impresari, giacché non c’era aspetto della vita musicale che non attraesse la sua attenzione. Intraprese accanto alla moglie Licia, un’archeologa illustre, viaggi che lo condussero attraverso orizzonti lontani ed esotici dei quali riusciva a cogliere le riverberazioni musicali e tutte quelle meraviglie, suggestioni e meditazioni sapeva far rivivere ora con gli studi, ora con le composizioni, ora attraverso la narrazione radiofonico e televisiva. In mezzo a tutti quegli incontri e a stagioni memorabili allestite per le maggiori istituzioni musicali del nostro paese, il momento decisivo credo sia stato quello dell’incontro con Stravinsky che negli anni del dopoguerra frequentava molto volentieri Roma. Parlando della dodecafonia il Vlad compositore ha dichiarato che «è un metodo inclusivo, non esclusivo che ti consente una mirabile libertà inventiva». Attraverso questa affermazione di libertà si può comprendere come Vlad abbia trovato nelle opere di Stravinsky degli anni Cinquanta un’ideale conferma a quel suo principio di libertà compositiva: tutto ciò che la musica del passato e del presente ha prodotto può costituire fonte di ispirazione: «come compositore che vive il suo tempo mi sono certamente valso delle conquiste musicali del Novecento, ma ho sempre contemperato il mio rapporto con la cultura del passato cercando di comprendere i significati più profondi, nella consapevolezza di accettare un’eredità dalla quale non è possibile prescindere».

La cantata «Le ciel est vide», che giustamente Vlad considerava la composizione centrale di tutta la sua produzione, le «Cinque elegie su testi biblici», i 24 «Haiku» e il Concerto per pianoforte e orchestra intitolato «Variazioni su una serie dodecafonica del Don Giovanni di Mozart», rivelano questo vagare ininterrotto fra le suggestioni e i sogni della poesia e della storia. Sapeva davvero un’infinità di cose il caro Vlad e le raccontava con un’affabilità e una scioltezza che ti davano l’impressione di esserne partecipe. Fu lui, tanti anni fa, ad attirare per la prima volta la mia attenzione sui versi che Rilke aveva composto per la sua pietra tombale, versi profondi e lievi al tempo stesso nei quali aleggia il profumo dei petali delle rose i quali, pur tanto simili alle palpebre, non custodiscono il sonno di nessuno: «Rose, oh reiner Wiederspruch, Lust, Niemandes Schlaf zu sein unter soviel Lidern» («Rosa, o pura contraddizione, voluttà di essere il sonno di nessuno sotto tante palpebre»).

Giusto un mese fa ho visto per la prima volta la tomba di Rilke accanto a una chiesa sperduta fra le montagne della Svizzera; quei versi ormai li sapevo a memoria e ora quel sonno protetto dai petali delle rose lo auguro a colui che per tanti anni mi è stato amico e maestro.