In ordine sparso sono numerosi i titoli da cui aspettarsi qualcosa di stimolante, avvincente, immaginifico. Il remake in live action di Akira di Taika Waititi (a patto che non ripeta il deludente Jojo Rabbit), Babylon di Damien Chazelle (si spera più in versione Whiplash e La La Land che in quella pur intrigante di First Man), The Stars at Noon di Claire Denis (il Nicaragua del 1984 attraverso uno sguardo che si apre alle complessità), Empire of Light di Sam Mendes (si può rinunciare a un duo come Olivia Colman e Colin Firth diretti dal regista di American Beauty?), Infinite Storm di Małgorzata Szumowska e Michał Englert (il primo film Usa della già affermata regista polacca), Killers of the Flowers Moon di Martin Scorsese (è necessaria una didascalia?), L’envol di Pietro Marcello (con l’auspicio che replichi il coraggio del Passaggio della linea e di Bella e perduta), Women Talking di Sarah Polley (pensando a Stories We Tell), Nope di Jordan Peele, Nightmare Alley di del Toro.

Una lista parziale dettata dal gusto personale che ha pigramente attinto al già noto. Una confessione doverosa. Allora, più che i titoli citati quello che dovremmo attendere in modo spasmodico è l’inaspettato, l’imprevedibile, perché viviamo in un’epoca di sconfortanti e perversi riduzionismi. Immagini laceranti, pensieri scombussolanti, parole i cui significati non sono ancora conosciuti, questo è il desiderio del 2022. Che l’uno si moltiplichi negli altri, liberandosi dai vincoli delle teorie autosufficienti. Un vedere, certamente collettivo, soprattutto complice.