La scelta di continuare ad insistere sulla strada del finanziamento alla missione bilaterale in Libia e, dunque, nei fatti, di proseguire con la linea del sostegno alla Guardia costiera libica, è assolutamente sbagliata.

Il governo e il Parlamento (con la nobile eccezione costituita da alcune decine di rappresentanti del Pd, della sinistra e non solo) hanno deciso di non abbandonare una strada che passa dalla sistematica violazione dei diritti umani.

L’impegno, strappato grazie alla pressione del Partito Democratico, di verificare se possano esistere in futuro le condizioni per mettere la parola fine a questa poco nobile pagina della geopolitica mediterranea, pur costituendo una novità, non è, a ben guardare, sufficiente. Del resto si doveva avere il coraggio di cambiare direzione da tempo poiché gli elementi a disposizione non mancavano.

Ovviamente dico questo sapendo bene che non si debba correre il rischio di semplificare la complessità del contesto. Né che si possa dimenticare il fatto che l’Italia sia chiamata a svolgere un ruolo improprio innanzitutto in ragione dell’assenza di una politica europea adeguata (così sulle spalle del nostro Paese sta il peso di responsabilità gigantesche).

Tutto ciò è infatti noto e indiscutibile. Come è pure evidente un altro aspetto: il quadro libico sta conoscendo una fase di transizione, per certi versi incoraggiante, e dunque il futuro potrà magari regalare novità positive sul piano della stabilità interna.

Tuttavia non si può non vedere che la sistematica e palese violazione dei più elementari diritti umani, subita da migranti e rifugiati presenti nei centri di detenzione, meritasse una reazione diversa. Da anni invece, quando si arriva al “dunque”, ci si gira dall’altra parte e non si affronta la realtà.

E lo si fa ignorando piuttosto esplicitamente i pronunciamenti dell’ONU, le segnalazioni di numerosi esponenti delle organizzazioni umanitarie, le tante denunce che mettono al centro la condizioni di violenza subita dai migranti.
L’azione della Guardia costiera, organizzazione che assolda veri e propri responsabili di crimini, è parte integrante del disegno che viene sistematicamente perorato.

Un disegno, quello dell’orrore libico, che trova varie sponde e complici perfino nelle istituzioni europee, laddove alle richieste di cambiamento che arrivano dal Parlamento non si accompagnano prese d’atto all’altezza della situazione. Questo ennesimo episodio si inserisce in quadro poco confortante.

Proprio a livello europeo fatica infatti a emergere una politica diversa da quella praticata in tutti questi anni. Servirebbe, come spesso si afferma dallo stesso europarlamento, più cooperazione tra gli Stati membri della UE, la sperimentazione di vie d’accesso legali e corridoi umanitari, un uso differente e più accorto di parte dei fondi destinati alla gestione dei confini, una missione di soccorso di matrice istituzionale.

Questo non accade, come conferma perfino il “Patto” recentemente presentato dalla Commissione europea, e, invece, si ripete il disastro libico. Che è, prima di tutto, un disastro sul piano del “senso”. Poiché attraverso i campi e il ruolo della Guardia costiera si sperimenta la più brutale forma di esternalizzazione dei confini e si calpesta la vita umana nell’ambito di luoghi che andrebbero invece svuotati.

L’Europa in questi due anni ha compiuto straordinari passi in avanti sul piano della coesione sociale, basti pensare a Next Generation EU, e ha pure deciso di affrontare la questione dello Stato di diritto con un coraggio mai visto prima, come dimostra il conflitto apertosi con Polonia e Ungheria, a seguito delle legislazioni anti-lgbt.

Questa fase nuova non riguarda, invece, il terreno delle politiche relative alla gestione dell’immigrazione. In questo caso l’egemonia culturale è espressa dalla destra nazionalista che, pur magari non riuscendo a imporre fino in fondo la propria agenda, impedisce nei fatti che prenda corpo una visione più ancorata al valore del rispetto della vita umana e alla strategia della condivisione delle responsabilità tra gli Stati.

La vicenda libica, con tanto di complicità italiane, non è altro che la più esplicita delle conferme di questa “tendenza”.
Se si cogliesse fino in fondo il grido disperato che proviene dai centri di detenzione si metterebbe in campo innanzitutto un grande piano per il loro superamento. Così non è.

Dico di più : siamo di fronte ad una beffa che si aggiunge al danno. Si tratta del fatto che l’operato della Guardia costiera, come abbiamo denunciato dal Parlamento europeo mesi fa, è stato foraggiato per anni (grazie proprio anche ai governi italiani) attraverso l’uso disinvolto di fondi fiduciari sottratti alla Cooperazione e allo sviluppo.

Con buona pace della tanta retorica esibita sul valore dell’”aiutarli a casa loro”. Tutto ciò, in realtà, non stupisce. Del resto, come ha spesso denunciato tra gli altri Cristina Cattaneo, direttrice del Labanof, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense, ai migranti che spariscono nel Mediterraneo non si riconosce neppure il diritto all’identificazione da morti. Figuriamoci quello di una vita più dignitosa da vivi.

* Europarlamentare del Partito Democratico