Per giorni si erano rincorse le voci su possibili dissidenti. Si paventava la nascita di un nuovo gruppo formato da deputati in uscita dal Movimento 5 Stelle, pronto a piantare le tende nel perimetro della maggioranza. E invece i grillini al taglio dei parlamentari si presentano compatti. Soltanto in dieci non partecipano al voto. Cinque sono assenti giustificati, in missione. Tra questi ultimi figura anche Andrea Colletti, il parlamentare abruzzese alla seconda legislatura che già nei giorni scorsi aveva manifestato parecchi dubbi: «Non posso votare a favore di questa riforma – annuncia Colletti – Ci sono altri colleghi nel mio gruppo che hanno dubbi, e mi faccio latore anche dei loro dubbi». Nessun altro si espone. Anche Gianluca Vacca, che alla vigilia del voto di ieri aveva espresso critiche alla riforma, assicura che voterà a favore «convintamente». Gli eventi prendono questa piega, lo si capisce dalla tarda mattinata, quando anche il centrodestra annuncia che dirà sì al taglio dei parlamentari, visto che non ci sono margini per clamorosi colpi di scena.

Sembra la giornata perfetta per Luigi Di Maio, che ottiene due risultati. Uno politico e uno tattico. Il primo lo rivendica apertamente. Il «capo politico» di recente sempre più spesso accusato di essere la causa della mutazione genetica governista rivendica un successo basato sulle origini anti-casta del M5S. «Risparmiamo 300 mila euro al giorno e qualcuno storce il naso, dicendo che non è vero. Lo è, perché tutti questi parlamentari non avevano motivo di esistere. E avremo più semplificazione». Poi mette le mani avanti dicendo anche di voler difendere la «centralità del parlamento». Il traguardo tattico non viene ammesso ad alta voce perché si lega a una questione molto più prosaica. «Il taglio dei parlamentari rappresenta la vera assicurazione sulla vita di questa legislatura» dicono da tempo i fedelissimi del leader, dicendosi certi del fatto che adesso difficilmente qualcuno degli eletti, con meno poltrone da assegnare al prossimo giro, avrà la tentazione di tornare al voto.

La verità è che, nonostante i mal di pancia, non era il taglio dei parlamentari il terreno sul quale misurare il dissenso dentro al Movimento 5 Stelle. Questa riforma sta troppo nelle corde profonde di anni di retoriche grilline per poter diventare causa di rottura. I segnali sono altri. Si nascondono tra le decine di parlamentari che non hanno accettato di fare da claque al flash mob convocato in piazza per festeggiare la riforma. Proprio ieri, poi, è tornata alla carica Barbara Lezzi. L’ex ministra del sud contesta il fatto che Di Maio abbia sbarrato la strada alla deputata Dalila Nesci, che si era auto-candidata a concorrere per la presidenza della Regione Calabria, in nome delle regole che imporrebbero agli eletti di portare a termine il loro mandato. Le elezioni regionali calabresi ma anche quelle umbre del 27 ottobre sono state anche al centro di un incontro tra Luigi Di Maio e il segretario del Pd Nicola Zingaretti, lunedì. Dal canto suo Lezzi ha ancora il dente avvelenato per essere stata esclusa dall’esecutivo, per questo contesta la nomina a sottosegretario di Giancarlo Cancelleri, traslocato dall’Assemblea parlamentare siciliana al ministero delle infrastrutture. «Dopo la deroga per Cancelleri, siamo tutti abbastanza intelligenti per capire che le regole invocate per Nesci non esistono», afferma Lezzi.

Che lo spirito di squadra non aleggi tra i parlamentari lo si capisce dal fatto che in molti non hanno versato i 1500 euro richiesti per l’organizzazione della kermesse nazionale «Italia a 5 Stelle» che si terrà sabato e domenica a Napoli. Il gioco a incastri dell’organigramma prosegue. In attesa dei nuovi capigruppo di camera e senato, si lavora alla formazione della squadra di facilitatori che comporrà la «segreteria nazionale» del nuovo Movimento 5 Stelle.