Intendiamo la libertà come ciò che ci dà il governo cinese, afferma Xuanyi He, volontaria del gay center «Chengdu Rainbow» nella capitale del Sichuan, raccontando al manifesto la costante repressione sulla comunità Lgbt cinese. Chengdu ha una realtà Lgbt dinamica, tanto da aver guadagnato l’appellativo di «Gaydu»: bar e saune, attività culturali, eventi di raccolta fondi, iniziative di sostegno psicologico e legale animano la comunità locale, attraendo anche chi arriva da fuori città.

Chengdu ha a lungo avuto la reputazione di rifugio sicuro per una comunità Lgbt, ma la stretta governativa rischia di spegnerne la vitalità. Pechino attua misure più restrittive proprio a ridosso degli eventi nazionali, che attraggono l’attenzione dei media stranieri. Da ottobre scorso, racconta la volontaria del centro di Chengdu, numerosi locali Lgbt della città, come l’Mc club o l’Hunk, sono stati costretti a chiudere per non consentire ai giornalisti stranieri di raccontare una realtà inappropriata e contraria ai valori comunisti. La misura è stata giustificata per l’emergenza di coronavirus, ma anche per l’aumento di casi da Hiv.

Ma le organizzazioni che tutelano i diritti Lgbt non vogliono cedere alla morsa sempre più stretta del Partito comunista.
Una condizione diventata più complicata con Xi Jinping. L’attuale presidente ha ereditato dalla Rivoluzione culturale un approccio repressivo, abbracciando il pensiero che l’omosessualità è qualcosa di immorale per la società. I censori cinesi, posti sotto il diretto controllo del Consiglio di stato, intervengono tagliando nei film scene di «rapporti sessuali o comportamenti sessuali anormali» e oscurando temi scomodi sui social media.

L’obiettivo è proteggere le giovani generazioni, considerate vittime delle influenze straniere che tendono a ribaltare i canoni di genere. Lo stesso pensiero vigeva già all’epoca di Mao Zedong, che concepiva l’amore per lo stesso sesso come un malevole effetto del capitalismo occidentale da punire.

Una manifestazione del Taiwan tongzhi hotline association

Dal 1949, anno della fondazione della Repubblica popolare, fino agli anni ottanta, l’omosessualità era una realtà praticamente invisibile, oscurata dall’adozione della pianificazione economica centralizzata e dalla introduzione della legge sul matrimonio, che ha consentito ai giovani di liberarsi dal concubinato e dai matrimoni mercenari. Tuttavia, la narrativa del matrimonio libero, connesso alla politica del controllo delle nascite che ha dato alla procreazione un valore centrale, ha eliminato lo spazio per le discussioni pubbliche sull’omosessualità fino agli anni novanta.

Una frattura c’è stata negli anni ottanta però, quando le autorità sanitarie hanno constatato un aumento di infezioni da Hiv. La dilagante diffusione del virus ha forzatamente sollevato il velo sotto cui veniva nascosta la comunità Lgbt cinese: il governo centrale ha dovuto collaborare con le poche organizzazioni per comunicare le misure di prevenzione del virus a una comunità chiusa e intimorita dai pregiudizi sociali.

A cavallo tra gli anni novanta e il nuovo secolo, i centri Lgbt hanno iniziato a lavorare per costruire una comunità forte e ridurre il senso di solitudine, isolamento e suicidi, grazie al sostegno psicologico telefonico. Con il progresso economico e l’apertura all’occidente, si sono tenute le prime manifestazioni di orgoglio, limitate dalle poche concessioni del Partito.

L’omosessualità è stata decriminalizzata nel 1997 e rimossa dalla lista delle malattie mentali nel 2001, ma non è ancora accettata da numerosi genitori. «Le famiglie stanno diventando più aperte, ma le discriminazioni sono ancora molto forti, come a scuola e al lavoro», sostiene Xuanyi He, confermando la necessità di riformare il sistema scolastico e universitario sull’educazione sessuale, attraverso la revisione dei testi che ancora rafforzano gli stereotipi di genere.

Un percorso tutto in salita. Sono proprio le autorità scolastiche a sorvolare sui temi Lgbt, mentre il governo interviene sugli atteggiamenti considerati inappropriati per la società. Con il boom della cosmesi e della moda maschile, sulla scia delle star del K-pop, molti uomini si prendono diversamente cura del loro corpo: una consuetudine interpretata come la femminilizzazione del genere maschile. Per questo, il ministero dell’Istruzione cinese ha recentemente accolto l’appello di un delegato della Conferenza consultiva politica del popolo, secondo cui i ragazzi, durante l’orario scolastico, devono dedicare più tempo all’educazione fisica per rafforzare i ruoli di genere.

Ma tale misura comporta effetti negativi. È ciò che pensa Cui Le, ricercatore di studi di genere in Cina presso l’Università di Auckland, che al manifesto afferma come la decisione del dicastero, in quanto discriminatoria, favorisca il bullismo omotransfobico; secondo Cui, la leadership dovrebbe considerare l’istruzione e l’educazione fisica strumenti per promuovere l’equità, la diversità e il rispetto tra gli studenti.

È soprattutto il rifiuto familiare a costringere molti giovani a fingere di essere qualcun altro. Numerosi gay e lesbiche decidono di unirsi tra loro nel «matrimonio di convenienza»: secondo il sito ChinaGayLes.com, ci sono stati finora oltre 54680 matrimoni tra un gay e una lesbica che parallelamente vivono la loro omosessualità.

Un fenomeno in relativa crescita, che vuole colmare i vuoti del sistema legislativo cinese. Ma c’è chi ha lottato per fare adottare il matrimonio omosessuale. Come Li Yinhe, scrittrice e attivista per i diritti sessuali e di genere, che tra il 2003 e il 2016 si è battuta sette volte per fare discutere la proposta dell’unione omosessuale dai delegati dell’Assemblea nazionale del popolo, spingendo sui vantaggi per la società cinese e per il prestigio internazionale del paese.
Il suo attivismo si è risolto in un nulla di fatto, ma ha offerto maggiore consapevolezza sul tema.

A novembre c’è stato il nuovo censimento della popolazione cinese: un’opportunità imperdibile per la comunità Lgbt. Con l’iniziativa «Non è il mio compagno/o di stanza», lanciata dal Lgbt Rights Advocacy China di Guangzhou, molti hanno dichiarato che il partner non è un coinquilino/a, ma convivente e amante. Diverse coppie gay spesso dicono di essere coinquilini per evitare attenzioni indesiderate dai vicini.

E c’è chi spera che Pechino percorra le stesse orme di Taipei. Taiwan infatti è stato il primo paese in Asia ad approvare il matrimonio omosessuale nel 2019, escludendo però il diritto di adozione. Fino al 2020, sull’isola si sono sposate 5336 coppie omosessuali, ma il parlamento sta discutendo una proposta per consentire il rito anche a partner stranieri, di Hong Kong e Macao, escludendo però i cinesi.

Con l’approvazione del matrimonio gay, è certamente migliorato l’approccio della società taiwanese alla realtà Lgbt, ma c’è ancora molto da fare. A garantire una relativa apertura è stato il Gender equity education act, che dal 2004 consente di affrontare i temi Lgbt in scuole e università per sconfiggere stereotipi, discriminazioni e bullismo.
È anche in queste sedi che si concentra il lavoro della Taiwan tongzhi hotline association, il primo gay center dell’isola, attivo dal 1998 e impegnato a offrire telefonicamente sostegno psicologico e legale alle vittime dell’omotransfobia, oltreché organizzare eventi culturali e sociali rivolti a giovani e anziani, come il primo Gay pride nazionale nel 2003. Juan Mei-ying, una delle responsabili del centro, racconta che un insieme di attività servono a far conoscere la comunità Lgbt all’intera società: attraverso podcast, volantinaggio nei campus ed eventi cinematografici si raccontano le discriminazioni e difficoltà che vivono ogni giorno le persone omosessuali e transessuali nelle relazioni monogame o poligame. L’obiettivo del centro è garantire supporto a chi crede di essere sbagliato a causa delle pressioni sociali, lavorative e familiari. «Annualmente riceviamo più di 200 chiamate: è l’unico modo per le persone di confrontarsi con esperti e abbracciare il pensiero che è terminato il tempo di nascondersi», sostiene Juan.

Il ruolo dei gay center: parla la direttrice del Beijing Lgbt Center
Il motore dei gay center in Cina sono gli attivisti e i numerosi volontari, che abbracciano le cause e i valori della vulnerabile comunità Lgbtq. Nel paese solamente il 5 per cento vive apertamente la propria omosessualità sul luogo di lavoro, e il 15 per cento fa coming out in ambito familiare; oltre il 70 per cento, invece, soffre di disturbi psicologici e non riesce ad accettare il proprio orientamento sessuale (sondaggio su 30.000 cinesi realizzato nel 2016 dal Beijing Lgbt center). Ma la Cina è in continua transizione e la popolazione accetta gradualmente l’omosessualità e la disforia di genere. Un ruolo determinante è giocato dai centri Lgbtq che avviano attività per fortificare la comunità locale e nazionale. I centri però cercano di influenzare la politica nazionale, mentre il Partito cerca di controllare le organizzazioni.
Il Beijing Lgbt center nella capitale cinese è la principale organizzazione nazionale e collabora con l’Università di Pechino per analisi sugli studi di genere in Cina. Da 12 anni, racconta al manifesto la direttrice Ying Xin, il centro della capitale è attivo nel sostegno psicologico e legale per i membri della comunità Lgbtq nazionale, portando i temi di genere sotto i riflettori dei media nazionali.

Quali sono le attività che svolge il Beijing Lgbt center?
Siamo un’organizzazione basata sulla comunità Lgbtq di Pechino, ma operiamo anche a livello nazionale. Lavoriamo principalmente sui servizi per la comunità, sulla formazione di professionisti, come medici, legali, psicologi e assistenti sociali, e sulla ricerca sui temi di genere. Giochiamo un ruolo di primo piano in tutto il paese per la difesa dei diritti delle persone transessuali, per la tutela della salute mentale dei membri della comunità, e per combattere le discriminazioni sul posto di lavoro. Il nostro lavoro è molto variegato e ci avvaliamo della collaborazione di fondazioni nazionali. La legge del 2016 che limita l’operato delle Ong con i gruppi stranieri non ha inficiato molto sulla nostra attività: siamo circondati da professionisti che ci consentono di muoverci alla luce del sole.

Lo scorso maggio è stato cancellato l’appuntamento annuale dello Shanghai Pride e qualche mese dopo l’Hunk club di Chengdu ha chiuso. Cosa è cambiato negli ultimi anni?
Sono due facce della stessa medaglia. Certamente sono accadute cose negative negli ultimi anni. Abbiamo conosciuto una riduzione delle attività perché le misure del governo cinese sono più stringenti e talvolta non riceviamo l’autorizzazione per determinati eventi.
Ma sono successe anche cose positive. Nel 2017 abbiamo vinto una battaglia legale che ha permesso a due donne di diventare tutore legale l’una dell’altra. È un passo avanti nel lungo percorso dell’approvazione del matrimonio gay. Nel 2019, abbiamo aiutato un ragazzo transgender a veder riconosciuta la discriminazione sul posto di lavoro.
Lo scorso anno è stata approvata la legge sulla protezione dei minori in ambito scolastico, familiare e sui social media. La nuova norma, che entrerà in vigore a luglio, esorta le scuole a stabilire un meccanismo per prevenire il bullismo, fornendo formazione al personale scolastico per garantire consulenza psicologica e prevenire traumi ai minori. Inoltre, la legge ha sottolineato l’importanza dell’educazione sessuale nelle scuole. Stiamo facendo diversi progressi in Cina e siamo ottimisti riguardo al futuro.

Avete lanciato iniziative per consentire alle coppie di unirsi e vivere apertamente la loro relazione?
Due anni fa, nel 2019, il nostro centro ha formalizzato il matrimonio di due diverse coppie dello stesso sesso a Pechino; l’evento ha attirato molta attenzione dai media internazionali e nazionali. Anche in passato abbiamo lavorato molto su questo fronte. Dal 2009 al 2017 abbiamo lanciato campagne per il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Qual è l’approccio dei politici cinesi alla comunità Lgbtq?
Si stanno facendo passi avanti. Nel 2019, un portavoce della commissione per gli Affari legislativi ha risposto alla proposta sul matrimonio tra persone dello stesso sesso: sebbene non abbia fornito un feedback positivo, è stata la prima volta che il governo ha mostrato attenzione su questo argomento.
Come comunità e società, dobbiamo impegnarci a rendere questo tema più visibile in Cina, coinvolgendo sempre più professionisti del settore. Ma dobbiamo guardare anche ciò che accade all’estero: se più paesi asiatici legalizzano il matrimonio omosessuale, la Cina non può essere l’ultimo.
È innegabile che i diritti Lgbtq siano ormai popolari e discussi in tutto il mondo. Anche in Cina ci sono stati diversi casi giudiziari che hanno dato ragione a persone della comunità Lgbtq.

Tra qualche giorno, numerosi ragazzi faranno ritorno a casa per festeggiare con i genitori il Capodanno lunare. Come viene accettata l’omosessualità dai figli in famiglia?
Chi non si è ancora dichiarato in famiglia, può vivere dei momenti difficili. È sempre più facile aprirsi con amici, che sono generalmente più giovani e aperti, ma solo pochi riescono a farlo con i genitori. È opportuno però considerare le differenze tra aree metropolitane e quelle urbane: è più semplice trovare un ambiente inclusivo nelle grandi città.

È ancora frequente la terapia di conversione gay?
Non è frequente, ma esiste. Ci sono circa 90 centri in tutto il paese che offrono un trattamento che non ha nulla di scientifico e che mira al passaggio all’eterosessualità: vengono effettuati elettroshock ai genitali e somministrate droghe che inducono alla nausea durante la visione di film pornografici gay, oppure si fa ricorso all’ipnosi. Il trattamento per sopprimere il desiderio sessuale, per cui si paga 800 yuan a seduta (circa 100 euro), è stato oggetto giuridico e mediatico in Cina. Come centro ci battiamo molto per aiutare i giovani a ottenere dalle cliniche un risarcimento danni per il trattamento ricevuto.

Esiste una legge che garantisce il percorso di transizione da maschio a femmina o viceversa?
È una strada difficile, a cominciare dalla terapia ormonale. Molte persone acquistano farmaci ormonali online o nei «black market», dove sono venduti a prezzo inferiore. Così si mette in pericolo la propria salute, perché non si è seguiti da medici professionisti. L’intervento per il cambio di sesso è tutelato dalla legge, così come il cambio di genere sui documenti di identità. Ma le persone transgender devono soddisfare alcuni specifici criteri per operarsi. Molto spesso per farlo c’è chi va all’estero, come in Thailandia.

Ci sono dati sui suicidi di persone omosessuali o trans?
Le persone transgender sono quelle più ad alto rischio e quasi il 40 per cento tenta il suicidio.

Quanto è forte la discriminazione sul posto di lavoro?
Ci sono diversi casi sul luogo di lavoro. Questo è perché non c’è una legge contro la discriminazione per proteggere le persone Lgbtq. Per le persone transgender è ancora più complicato; inoltre per loro è difficile trovare un lavoro poiché è complesso il procedimento per cambiare l’indicatore di genere sul documento di identità.