Nelle previsioni economiche di primavera ieri la Commissione europea ha alzato ottimisticamente le stime di crescita del Prodotto interno lordo dell’Italia a +4,2% nell’anno in corso e a + 4,4% nel 2022. Questo dovrebbe essere l’effetto della ripresa delle attività una volta vaccinata la popolazione e «riaperte» stabilmente le attività, in particolare dei servizi, turismo e consumi. La manifattura ha ripreso da tempo. Negli anni successivi si vedrà su quale percentuale la «crescita» si attesterà. Va ricordato che il Pil pre-pandemico in Italia agonizzava poco sopra lo zero. Tornare ai valori precedenti alla crisi significa attestarsi al livello della stagnazione.

Anche per questo a Bruxelles, come a Roma, ci si augura che il «Next Generation Eu/Recovery fund» produca effetti miracolosi. Ieri si parlava dell’1,2% del Pil. Stime tutte da verificare quando il piano di ripresa e resilienza inizierà a manifestarsi con le grandi opere e il greenwashing digitale. Una crescita sarà necessaria per abbassare di qualche zero virgola il «debito pubblico buono», per dirla con Draghi, che oggi sfiora il 160% del Pil. Comincerà a scendere dal 2022, calando al 156,6%. Anche il deficit quest’anno toccherà un nuovo record (11,7%), ma il prossimo scenderà (5,8%) «grazie al calo della spesa pubblica e all’accelerazione dei ricavi». Dopo il ritorno alla crescita pre-pandemia, cioè alla stagnazione drogata dagli stimoli provenienti dall’Europa (si vedrà poi la capacità di investirli), anche l’Italia dovrà vedersela con il Patto di stabilità. Draghi lo ha giudicato inadeguato, il felpato commissario Ue all’economia Gentiloni la pensa allo stesso modo, meno il vice presidente della Commissione Dombrovskis.

Entro questo mese la Commissione presenterà le sue proposte, ma il percorso della riforma si preannuncia tortuoso con i paesi «frugali» in agguato e un nuovo cancelliere a Berlino. Sta di fatto che prima o poi si dovrebbe decidere come conteggiare le spese per investimento, cambiare i parametri sul deficit al 3% e il debito al 60%. Ora sono sospese per la pandemia. Ma non lo saranno per sempre. Dalle stime di ieri della Commissione risultano meno evidenti gli effetti del Recovery sull’occupazione, perché bisogna aspettare che tutte le attività tornino al pieno regime e la ripresa prenda piede. La Commissione prevede che la disoccupazione resterà intorno al 10% per i prossimi due anni, finché non si tornerà ad un livello di occupazione pre-pandemico che, in Italia, era poco sotto il 9%. È presumibile che l’aumento riguarderà l’occupazione precaria. Con le «riforme strutturali» già fatte dall’ultima crisi (il Jobs Act, se lo ricorda qualcuno?) è il minimo. Gentiloni ha rinnovato l’invito ai governi a non ritirare i sussidi almeno per quest’anno. Dalla fine del blocco dei licenziamenti in Italia ci si aspetta una disoccupazione «selettiva». Attesa una riforma degli ammortizzatori sociali. Si vedrà quanto estemporanea o strutturale.