Giornata intensa a Kiev, ieri, a seguito dell’iniziativa proposta dal governo di Majdan, di dare luogo ad un tavolo di unità nazionale. «Unità nazionale» nel senso conferito dall’attuale governo, ovvero senza i leader delle regioni separatiste e senza l’ex leader della rivoluzione arancione Yushenko, uno dei più occidentali tra i politici ucraini, che ha pagato l’inimicizia con la mente che non finisce di orchestrare le sue trame, vale a dire la principessa del gas, Yulia Tymoshenko.

Presente invece, a confermare la relazione preferenziale, l’ambasciatore statunitense a Kiev, Geoffrey Pyatt. All’incontro hanno particpato, come da convocazione ufficiale, politici nazionali e «di tutte le regioni», esperti, ministri, rappresentanti religiosi e della società civile, due ex presidenti ucraini.
A parlare – in serata – è stato il presidente ad interim Turchynov. Le autorità di Kiev – ha specificato – sono «pronte al dialogo con le regioni ma non permetteranno» ai separatisti filorussi «di terrorizzare e ricattare l’Ucraina».

«Siamo disposti ad ascoltare tutti – ha proseguito Turchynov – ma per fare in modo che la gente venga ascoltata non c’è bisogno di sparare, non c’è bisogno di rubare, non c’è bisogno di occupare edifici. Siamo aperti al dialogo. Sia il parlamento che il Consiglio dei ministri – ha precisato il capo di Stato ad interim – sono pronti a cambiamenti nel sistema di governo».

All’incontro hanno partecipato anche gli ex presidenti Leonid Kravchuk e Leonid Kuchma, i candidati alla presidenza Serghii Tighipko, Renat Kuzmin e Iulia Tymoshenko, leader religiosi, parlamentari e diplomatici stranieri e il premier Yatseniuk. La candidata alle presidenziali del 25 maggio Tymoshenko ha infine proposto di svolgere la prossima sessione dell’incontro nella regione orientale di Donetsk.

Nel frattempo torna d’attualità una delle questioni più misteriose della crisi ucraina: ovvero la responsabilità degli spari e delle morti del 20 febbraio a Majdan, quando la rivolta ha portato alla destituzione di Yanukovich. Le autorità avevano arrestato 12 Berkut, le forze speciali di Yanukovich, accusati di essere i cecchini durante quelle giornate. Ma ieri un esponente del partito di Tymoshenko, Patria, membro della commissione parlamentare che ha indagato al riguardo, ha sostenuto che «non ci sarebbero prove contro i Berkut».

Secondo le indagini, le pallottole in loro possesso non corrisponderebbero con quelle rinvenute in piazza o sui corpi delle vittime. Inoltre esisterebbero delle difficoltà a stabilire chi abbia sparato per primo. Se i Berkut o qualcun altro, poiché tra le vittime ci sono stati anche poliziotti, trucidati dai proiettili. E ieri l’agenzia russa Itar- Tass ha sottolineato la presa di posizione del Partito delle regioni, dell’ex presidente Yanukovich, che ha chiesto l’istituzione di una nuova indagine su quei fatti. Quelle giornate di scontri e il rogo di Odessa sono i simboli, ad ora, della situazione in Ucraina.

«Gennady Moskal – ha spiegato uno dei membri del partito delle regioni – ha detto che la commissione che ha presieduto è giunta alla conclusione che non sarebbero stati i Berkut a sparare». Significa, ha aggiunto, «che la domanda resta. Chi ha sparato a Majdan? Finché non ci sarà una risposta chiara e vera, le persone manterranno intatti i propri sospetti».

Ieri sul futuro dell’Ucraina è intervenuta nuovamente la Russia, ribadendo le ultime posizioni esplicitate nei giorni scorsi anche da Putin. La legittimità delle presidenziali ucraine del prossimo 25 maggio è «incompleta», ma «è evidente che non svolgere le elezioni sarebbe persino più triste, quindi è necessario scegliere il minore dei due mali», ha affermato il presidente della Duma russa, Serghiei Narishkin, in un’intervista alla tv Rossia 24 ripresa dall’agenzia Interfax.

Analogamente positivo – con riserva – il giudizio sulla consultazione nelle regioni orientali. I controversi referendum delle regioni di Donetsk e Lugansk, nel sud-est dell’Ucraina, hanno dato «risultati convincenti», di cui «le autorità di Kiev e tutti gli altri dovrebbero tenere conto, nonostante alcuni errori riscontrati durante il voto».