Non è un richiamo come altri ne sono partiti dal Colle. È molto di più e proprio la puntigliosità con la quale il presidente ha voluto circoscrivere i limiti della commissione d’inchiesta sul sistema bancario, all’atto di promulgare la stessa, rivela quanto profonda sia la sua preoccupazione. Una lettera di accompagnamento così lunga, dettagliata e approfondita a Mattarella non era sinora mai sembrata necessaria.

IL CAPO DELLO STATO REPUTA necessario ricordare che la commissione, a differenza di quella istituita nella scorsa legislatura, «non riguarda l’accertamento di vicende o comportamenti che hanno provocato crisi di istituti finanziari». Sottolinea che, pur non essendo in discussione il potere del Parlamento, le attività della commissione «non devono poter sfociare in un controllo dell’attività creditizia». Segnala che, persino involontariamente, un’irruzione della politica potrebbe «condizionare, direttamente o indirettamente» le banche nell’esercizio del credito. Mette in guardia dal rischio che la commissione «finisca per sovrapporsi – quasi che si trattasse di un organismo a esse sovraordinato all’esercizio proprio dei compiti propri di Banca d’Italia, Consob, Ivass Covip, Bce», cosa che «urterebbe con il loro carattere di autorità indipendenti».

L’elenco dei moniti rivela quali siano i timori, del resto fondati, del presidente. A Mattarella non sfugge quanto il duello propagandistico tra i soci della maggioranza sia già fuori di controllo e gli è ben chiaro come il terreno minato del sistema bancario sia, per quel tipo di propaganda, quello eminente. Ciò implica due rischi distinti: il primo è quello segnalato ai presidenti delle Camere nell’incontro di giovedi, l’eventualità cioè che la maggioranza miri a usare la commissione come una clava per circoscrivere l’autonomia e l’indipendenza di Bankitalia, o per condizionarla con una campagna di delegittimazione simile a quella nella quale si produsse il Pd di Renzi nella scorsa legislatura, però all’ennesima potenza.

IL SECONDO È CHE LA CAMPAGNA di sospetti, voci incontrollate e delegittimazione galoppante possa produrre effetti devastanti sull’intero sistema del credito. Uno tsunami che travolgerebbe reputazioni in prima istanza ma si tradurrebbe subito dopo in danno concreto, monetizzabile.

Di qui l’esigenza di una mossa politicamente e istituzionalmente molto forte, l’urgenza, secondo Mattarella, di porre nero su bianco paletti robusti e ben precisi. Solo che quei paletti non sono una garanzia sufficiente, e il Quirinale ne è perfettamente consapevole. La sua, stavolta non è solo moral suasion, altrimenti il presidente non avrebbe reso pubbliche le sue preoccupazioni. È un monito politico, ma pur sempre solo un monito perché di più Mattarella non può fare, proprio come non avrebbe potuto rinviare la legge istitutiva della commissione alle camere con la consapevolezza che su un tema simile le camere stesse la avrebbero quasi certamente confermata alla lettera. «Bene le raccomandazioni ma noi tuteleremo le prerogative del Parlamento», chiosa con implicita polemica il sottosegretario Buffagni. «La commissione farà luce nel rispetto delle sue prerogative», duetta sullo stesso tono il ministro Fraccaro. «Una lettera di accompagnamento non può diventare una glossa interpretativa della legge», fanno filtrare dall’area vicina a Di Maio. Non sono commenti rassicuranti.

MATTARELLA CONTA, OLTRE CHE sul suo richiamo, su due carte. La prima sono i presidenti delle camere. L’incontro di giovedì è stato a tutto campo e il presidente ha insistito, ricevendo in risposta le dovute assicurazioni, perché Casellati e Fico vigilino soprattutto sue due fronti chiave: il dibattito sulle autonomie, che non può passare per l’espropriazione delle prerogative del Parlamento, e appunto il ruolo della commissione d’inchiesta. La seconda carta è la Lega. Ufficialmente Salvini è sulla stessa linea dei 5S. In realtà il Carroccio frena come può l’impeto propagandista dei 5S, in particolare tentando di rinviare a dopo le europee la partenza dei lavori e di conseguenza la nomina di Gianluigi Paragone a presidente. Quella presidenza, per M5S, è fondamentale. «Teniamo assolutamente il punto», taglia corto Di Maio e Conte lo spalleggia. «Né scalpi né vendette: la commissione farà luce sulle crisi bancarie», commenta il giornalista-senatore. Oggi impedire la sua nomina sarebbe per la Lega impossibile. Dopo le europee il quadro potrebbe essere diverso ed ecco perché la Lega non ha nessunissima fretta.