Sono miliardi, non milioni. “Gravi perdite del patrimonio, dovute alle consistenti rettifiche sul portafoglio crediti”. Questa certificazione di Bankitalia, che è alla base del commissariamento della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, fa capire che i problemi dell’istituto di credito non solo soltanto quelli legati ai “movimenti anomali” del 22 agosto scorso – pochi giorni dopo dopo la decisione della banca di trasformarsi in spa – quando passò di mano il 12% del capitale dell’istituto, per un controvalore degli scambi di non più di 20 milioni di euro.

Non sono nemmeno quelli legati alla crescita di valore dei titoli della banche popolari, dopo che il 20 gennaio il governo aveva annunciato il (contestatissimo) provvedimento di riforma per la loro trasformazione in spa. Fra queste anche Banca Etruria, che aveva visto crescere di valore le proprie azioni di circa il 60%, ma anche in questo caso per non più di 10 milioni.

La procedura di amministrazione straordinaria avviata ieri, sotto la supervisione della stessa Bankitalia, si lega soprattutto all’esito degli “accertamenti ispettivi”, avviati da tempo e tuttora in corso, che hanno fatto saltar fuori tutta la polvere sotto il tappeto della “banca degli orafi”, così come ad Arezzo è chiamata la Bpel. Le cui gestioni, passate e odierne, hanno messo a rischio il patrimonio della banca, con fortissime sofferenze causate dai crediti deteriorati. Affidamenti e linee di credito aperte con disinvoltura. E non tanto indirizzate al tessuto delle piccole e medie imprese dello storico territorio di influenza, a cavallo fra la bassa Toscana, l’Umbria e l’alto Lazio, quanto ai consueti “cerchi magici” imprenditoriali e non di rado finanziari.

I neo commissari straordinari Riccardo Sora e Antonio Pironti fanno subito sapere ai correntisti che il loro compito è quello di ricondurre l’attività aziendale “secondo criteri di sana e prudente gestione”, e
che la clientela può tranquillamente continuare a rivolgersi agli sportelli della banca, “che prosegue regolarmente l’attività”. Ma certo il colpo è grosso. E segna la caduta di un cda di cui è vicepresidente
Pierluigi Boschi, padre di Maria Elena Boschi (presidente del consiglio e ministro sono sfortunati con gli affari dei padri), finita anche lei nel calderone delle critiche a fronte dei sommovimenti azionari della banca
negli ultimi mesi. Azioni possedute dalla ministra Boschi in quota microscopica, almeno per valore. In un istituto di credito che lo scorso anno partiva comunque da un attivo patrimoniale di 16 miliardi e 400
milioni.

Nuove avvisaglie della crisi di Banca Etruria erano comparse nei giorni scorsi, alla firma di un accordo su 410 “esuberi”, in massima parte con prepensionamenti volontari e riorganizzazioni per risparmiare a regime
32 milioni l’anno, (45 a bilancio per il 2014). Ma i sindacali dei bancari avevano poi incontrato l’assessore toscano Gianfranco Simoncini. Preoccupatissimi: “L’avvio di una ristrutturazione, riducendo al minimo
le perdite occupazionali, è un sacrificio inutile se non seguiranno iniziative di rilancio”. Di una banca che controlla al 100% la fiorentina Federico del Vecchio, che tradizionalmente teneva i conti delle famiglie fiorentine che contano. Pronte peraltro a defilarsi, già da qualche tempo, vista l’aria che tirava.

Per il settore bancario toscano è un altro colpo da ko, che si aggiunge all’agonia del Monte dei Paschi. Ieri i vertici di Rossa Salimbeni hanno chiuso un bilancio 2014 da paura, con 5,3 miliardi di deficit. L’ad Fabrizio Viola ha puntualizzato che sono stati messi in conto 5,9 miliardi di crediti talmente “deteriorati” da non avere più speranze di riscossione. Ma l’effetto collaterale è stato un surplus di 500 milioni
al già annunciato aumento di capitale da 2,5 miliardi. Mentre la Bce consentiva alla banca un “transitional ratio” del 10,2%, invece del 14,3% fissato dopo gli stress test d’autunno. Silenzioso Alessandro
Profumo.

Mentre il suo collega di Intesa San Paolo, Giovanni Bazoli, si dice sicuro di non entrarci nell’inchiesta che lo vede indagato, in qualità di presidente dell’Associazione banca lombarda e piemontese in
un’annosa storia di deleghe false in Ubi Banca.