In attesa che la trattativa tra governo e azienda dia qualche risultato degno di questo nome, prosegue la schermaglia legale tra i commissari straordinari di Ilva e la multinazionale ArcelorMittal. I legali della struttura commissariale hanno depositato una memoria di 86 pagine per rispondere a quella presentata a dicembre dai legali della multinazionale, nel procedimento sul ricorso cautelare e d’urgenza contro l’atto di recesso dal contratto d’affitto dei rami d’azienda del gruppo ex Ilva. I legali di Arcelor hanno tempo fino al 31 gennaio per ulteriori contro repliche.
Nella loro memoria i legali dei commissari, gli avvocati De Nova, Castellani e Annoni, riprendono argomenti già affrontati nel ricorso cautelare, rispondendo però molto duramente ai rilievi della mutlinazionale.
La prima accusa è che ArcelorMittal «non ha portato avanti la realizzazione del Piano Ambientale nei tempi e investimenti programmati, né ha eseguito il programma di manutenzione concordato in modo coerente alle migliori pratiche di esercizio». E «non ha operato gli impianti secondo le dovute cautele funzionali a preservarne efficienza e longevità».
Per i legali l’azienda «anziché utilizzare tutti gli altiforni in via continuativa, da mesi li utilizza a turno, e ciò incide negativamente su durata, efficienza e sicurezza degli stessi». Anche l’incidente mortale del 10 luglio scorso a porto di Taranto, al di là dell’evento atmosferico scatenante, sarebbe ascrivibile «a gravi carenze organizzative di sicurezza».
Gravissime le ripercussioni conseguenti all’abbandono della gestione dell’ex Ilva. «Le conseguenze economiche porterebbero ad una riduzione del Pil di 3,5 miliardi di euro, pari allo 0,2% del Pil italiano e allo 0,7% del Mezzogiorno», scrivono i legali. «Il danno sarebbe incalcolabile e irreparabile a carico dell’intero tessuto socioeconomico delle aree interessate»: anche perché l’ex Ilva in amministrazione straordinaria «non ha né la struttura, né i mezzi per reagire all’inadempimento di Mittal per mitigarne i danni».
Per i legali la tesi di ArcelorMittal l’impossibilità di un’esatta esecuzione del contratto «è del tutto mistificatoria» e coprirebbe in realtà la volontà del gruppo «di non adempiere allo stesso man mano che la controparte comprendeva la propria incapacità a gestire in modo economicamente efficace i rami d’azienda presi in carico».
A dimostrarlo il risultato di consuntivo «ben peggiore di quello ottenuto dalla procedura commissariale». Ed ora si vorrebbe «una vera e propria socializzazione di quei costi di ristrutturazione e di quelle perdite operative che dovrebbero invece – evidentemente – gravare esclusivamente su ArcelorMittal». In altri termini, per i legali l’azienda «ha portato avanti le consuete logiche ex post di un certo tipo di capitalismo d’assalto secondo le quali se a valle dell’affare concordato si guadagna, guadagno io, mentre, se invece si perde, perdiamo insieme». In questo quadro, «non è inutile ricordare che ArcelorMittal cerca oggi di imporre surrettiziamente una riduzione del personale di circa 5.000 unità (e quindi di dimezzare l’occupazione portandola da 10.700 dipendenti a soltanto 5.700 dipendenti)».