Ancora qualche giorno e i lavoratori di Almaviva addetti alla commessa Wind conosceranno il proprio destino. Sono in tutto 1700 quelli appesi a un filo, nelle sedi di Palermo, Catania e Milano. Il maggior gruppo di call center italiano potrebbe dar loro il benservito se la compagnia telefonica decidesse di assegnare la commessa a un altro operatore: la decisione doveva essere presa ieri, ma forse le tensioni e le proteste degli ultimi giorni hanno suggerito a Wind di valutare ulteriormente la questione.

«Un centinaio di noi ha manifestato davanti al punto vendita di via Libertà, e stiamo pensando anche a uno sciopero», spiega Alice Violante, lavoratrice di Palermo. Allo stesso modo si sono fatte sentire le cuffiette di Catania, davanti alla sede Wind di via Etnea. Sono infatti i due siti siciliani di Almaviva a rischiare più posti di lavoro: ben 1400 sui 1700 totali, mentre altri 300 sono in bilico in Lombardia.

Almaviva, gruppo romano della famiglia Tripi (noto diversi anni fa per la vertenza Atesia) ha fatto sapere formalmente ai sindacati che se la commessa dovesse essere persa, per 1700 dipendenti a tempo indeterminato (sui 8900 che lavorano in tutta Italia) verrebbe aperta la mobilità. Se invece la Wind confermasse l’assegnazione al gruppo, certo la situazione non sarebbe così drammatica, ma comunque alcune centinaia di dipendenti rischierebbero lo stesso il posto: già oggi infatti sono 2000 gli esuberi a livello nazionale, gestiti per ora con la solidarietà al 20%, ed entro maggio va trovata una soluzione strutturale. Commessa Wind o no.

«Sappiamo che Wind informalmente continua ad avere contatti con tutti i soggetti che hanno fatto le offerte – dice Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil – Non escludiamo che il rinvio dell’assegnazione sia dovuto all’allarme creato dalle proteste dei lavoratori: pensiamo solo all’inferno che si aprirebbe con 1400 licenziamenti tra Palermo e Catania». Un danno di immagine molto forte.

D’altronde, alcune offerte in competizione con quella di Almaviva sarebbero forse economicamente più appetibili, anche perché realizzate da gruppi che pur avendo la sede centrale in Italia, delocalizzano però parte dei propri volumi di chiamate. «Nel bando c’è scritto che se anche cambiasse l’assegnatario della commessa, dovrebbe comunque trovarsi “nello stesso ambito territoriale” – spiega ancora il segretario Slc Cgil – Ma questo non significa che ci sia una garanzia per gli stessi lavoratori: una nuova società potrebbe assumerne altri».

Non esiste infatti una clausola sociale per i cambi di appalto nel settore: nonostante diversi scioperi e manifestazioni, con la richiesta esplicita di varare una nuova norma ad hoc da parte dei sindacati, il governo ha sempre ignorato questa richiesta. Ed ecco a voi i risultati.

D’altronde, il premier Renzi ha fatto un altro “regalino” agli operatori dei call center: nel Jobs Act ha cancellato le collaborazioni a progetto, ma escludendo tutti quei lavoratori per cui esista una contrattazione collettiva che fissi un minimo salariale e alcune tutele. E siccome questo accordo nelle tlc esiste già, i cocoprò dei call center italiani resteranno cocoprò.