Commentare libri tramite immagini è attività selettiva: mentre un commento verbale può far riferimento al testo punto per punto, un commento per immagini (nella più varia forma) deve per forza selezionare alcuni tratti, o raccogliere in un unico quadretto situazioni di qualche affinità. In ogni caso, si tratta di una forma di ricezione partecipe in massimo grado, perché non ammette riserve sull’opera che si va a esaminare in un modo che richiede non solo energie e tempo, ma denaro. Nella modernità italiana due romanzi soprattutto sollecitano la riflessione tra testo scritto e immagine: il primo è l’edizione dei Promessi sposi del 1840, una vera e propria impresa editoriale sollecitata e guidata dall’autore del romanzo: fu Manzoni stesso a scegliere gli illustratori, a suggerire i punti da mettere in evidenza con le immagini, a ricercare la migliore inquadratura per la vignetta. Alla fine il romanzo doveva risultare inscindibile da quelle illustrazioni, che ne facevano integralmente parte e lo scandivano. Il secondo romanzo è Pinocchio: basta pensare a quanto poche siano le edizioni commentate per iscritto e a quale sia invece il numero delle edizioni illustrate del capolavoro di Collodi per farsi certi che davvero le immagini sono un modo speciale di commentare. Se solo si prendessero le immagini di Pinocchio tra i carabinieri e le si allineasse diacronicamente, si avrebbe molto di che riflettere sul cambiamento di mode e umori: ne risulterebbe una bella storia della ricezione non solo del libro ma dei suoi momenti di costume. Il caso di Pinocchio è estremo, se le immagini hanno fatto talvolta dimenticare da quale libro fossero state ispirate: si ricordi come il suo inventore sia stato identificato in qualcuno operante negli studi di Walt Disney.
Per libro massimo che è la Commedia dantesca, l’atto di accompagnare l’opera in versi con immagini nasce prestissimo; il primo manoscritto illustrato, il Trivulziano 1080, è databile 1337/38. Da lì è una fortuna solo di rado interrotta, e che ha assunto i modi più vari, separata dal libro in dipinti di grandi pittori o, dall’età della diffusione a stampa, pensata a dare un’intonazione ogni volta speciale, lasciando segnare la Commedia dal susseguirsi delle epoche: chissà se ancora sopravvive l’abitudine di parlare del «Dante di Doré» per dare un tocco di originalità a una discussione. La vicenda delle immagini ispirate dalla Commedia è tumultuosa, ricchissima, e arriva fino ai giorni nostri in opere firmate da Lorenzo Mattotti e da Mimmo Paladino, ma è costellata di mani anonime e da grandi nomi, dal Maestro delle Effigi Domenicane e dal Maestro degli Antifonari Padovani in avanti, verso nientemeno che Raffaello e Michelangelo e fino a Reynolds, Füssli, Delacroix, Blake, Rodin e via elencando.
Tentare e riuscire in una ricognizione su territori che richiedono competenze diverse per essere esplorati è impresa per alti conoscitori: l’ha praticata, consegnandola a un libro importante (così come strutturato, assente nella sterminata bibliografia dantesca) una specialista della nostra civiltà letteraria soprattutto relativa ai primi secoli, e soprattutto alle complesse trame testimoniate già da un volume di alcuni decenni fa su Dante e la tradizione letteraria medievale: Lucia Battaglia Ricci (Dante per immagini Dalle miniature trecentesche ai nostri giorni, Einaudi, pp. XXII-302, € 60,00). Le centocinquanta illustrazioni fanno parte ovviamente del testo, ma il solo percorrerle lascia pensare a quanti sguardi si siano posati su quei versi, a come quei versi siano stati vivi nel corso dei secoli, e a quanti pensieri per immagini abbiano saputo ininterrottamente suscitare.
Tra i punti di partenza, adesso, è la distinzione «tra gli insiemi formati da parole e immagini – come sono per esempio i manoscritti miniati, o le tante edizioni a stampa di Commedie illustrate – e quelli formati da sole immagini – come sono le singole tavole a soggetto dantesco o le sculture presenti nei musei di tutto il mondo, come pure gli affreschi sulle pareti di palazzi o biblioteche». La distinzione non è di poco conto: e la diversità riguarda chi produce immagini non meno di chi le guarda. Quando si tratta infatti di sole immagini, il testo è evocato a memoria e se ne prevede anzi una conoscenza tale che nessun altro ausilio debba intervenire. In più, l’incidenza del contesto, che infittisce o fa scomparire l’interesse intorno a certe «soluzioni iconografiche», per le quali conta dunque non solo l’ispirazione del singolo artista, ma la congiuntura culturale o più ampiamente storica. Infine (provvisoriamente), come si fa chiaro dal primo capitolo, la verifica di «come le immagini d’apertura degli splendidi manoscritti miniati nei primi decenni della storia del “Dante illustrato” testimonino, nella diversità di soluzioni sperimentate dai singoli artisti, la diversità degli approcci critici esperiti dai lettori contemporanei», così che non solo commento e illustrazione finiscono per incrociarsi e rimandarsi l’uno con l’altro, ma le due operazioni, simultaneamente, cercano il fuoco dell’opera dantesca anche nel tentativo di classificarla nell’ambito di un genere (cui sfugge).
Il Quattrocento, illustrando la Commedia per chi avesse possibilità di investire in quel modo, per esempio Federico da Montefeltro, la sottrasse al secolo precedente, vedendola intarsiata di riferimenti classici e vestendola alla maniera umanistico-rinascimentale. Da qui ai nuovi vestiti penserà un costruire allegorie su allegorie dentro le quali far viaggiare il grande pellegrino, soprattutto nel Cinquecento», accantonando le «storie seconde», ovvero le vicende di coloro che il pellegrino incontra, «le Francesche, gli Ulissi, gli Ugolini». Dopo di che, è la nebbia della dimenticanza, per circa un secolo e mezzo, fino al pieno Settecento. La rinascita coincide anche col ritorno all’interesse per le «storie seconde» (tra Ottocento e Novecento, Francesca col suo Paolo sarà protagonista fino all’inflazione in almeno trecentocinquanta opere). E nell’Ottocento, tra storia prima e storie seconde, una fioritura di Danti per tutti i gusti, a partire dalla Barca di Delacroix e a finire nel Pensatore dalla posa possente e tormentata di Rodin.
«Appropriazione e attualizzazione» sono i segnali della presenza del Dante illustrato nella modernità, venendo verso il Novecento: negli «alfabeti simbolici» di Dalí, negli incubi di Mattotti, nelle scelte pop di Tom Phillips. Si dice in genere che una coperta tirata da ogni parte risulti immancabilmente troppo corta per tutti, finendo per non coprire nessuno. Alla prova delle immagini, la Commedia non corre mai questo rischio, anzi è sempre abbondantemente disponibile, magari correndo l’avventura di stravolgersi molto o poco. In Dante per immagini, la vicenda (qui riassunta a volo d’uccello), trova nel dettaglio straordinarie verifiche nell’inquadrare e commentare le immagini, svolgendo cioè il commento di un commento, in una sorta di mise en abyme conoscitiva, dove le parole e le immagini, la conoscenza e le arti, la filologia e la storia della cultura si intrecciano continuamente. E l’ecfrasi serve a squadrare nuovamente certi significati, a reimpostare vecchi enigmi attraverso un doppio sguardo sulle tempere, gli oli, i disegni e i versi; e poi di nuovo i versi e bassorilievi, ceramiche, fumetti, «ex-libris, monoliti dipinti, lastre d’acciaio incise»: in ogni epoca, si sa, chi ha potuto e voluto ha disegnato la Commedia a modo suo, secondo natura, cultura e statura.