Qui non riposano” di Indro Montanelli fu stampato nel 1945 in tedesco col titolo Eine italienische tragödie, una tragedia italiana.

«Si andava alla catastrofe. Tutti lo sapevano. Ma ci si andava ridendo. C’era una bella differenza fra lo scoppio della guerra che avevo visto a Berlino e quello che ora vedevo a Roma. I tedeschi non capivano e piangevano. Gl’italiani capivano e ridevano. Gli uni e gli altri intonavano le proprie reazioni al rispettivo destino: il destino dei tedeschi è la tragedia, quello degli italiani la commedia».

Il titolo originario alludeva al tragico che nasce dal comico. Montanelli osserva che in Italia le componenti della commedia – scambio, peripezia, equivoco, agnizione – non portano allo scioglimento della azione drammatica, ma al crollo d’una parte sull’altra, cioè alla distruzione. Alla tragedia.

Nel 1945 Indro Montanelli conta trentasei anni, più o meno gli stessi di Vittorini, Rossellini, De Filippo, Guttuso, Flaiano ai quali pure si debbono giudizi sul fascismo e su la guerra formulati nel modo dell’opera d’arte. Giudizi nella forma del saggio, teorico o storico, o del pamphlet, furono elaborati, con l’eccezione di Benedetto Croce, da autori in esilio – Lussu, Rosselli, Togliatti – o, come nel caso di Antonio Gramsci, ristretti in carcere. Ma, come è facile constatare, si tratta di generazioni precedenti a quella dei nostri giovani.

Tuttavia, fosse pure obbligata la scelta, essa non solo contrassegnò il carattere intellettuale di una generazione, ma condizionò fortemente il significato che del fascismo si recepì in Italia fino, almeno, agli anni Sessanta. Uomini e no, Roma città aperta, Filumena Marturano, Gott mit Uns, Tempo di uccidere: queste, coeve, le opere da accostare a Qui non riposano.

Distintivo di Montanelli è il forte accento posto sulla ambiguità effettiva della condizione fascista. Ed i tre «testamenti» lasciati dai protagonisti di Qui non riposano sono un richiamo esplicito a che i posteri si dispongano ad una valutazione spassionata, ovvero capace di intendere che duplicità, convenzionalità, artificialità (tratti dell’esser fascista) non dipesero da responsabilità individuali, ma da un dispositivo inderogabile che imponeva alla parte dei singoli un predisposto giuoco.

Chi voglia assumere le istanze di democrazia maturate nell’Italia del 1945, non può eludere questa esigenza di verità.

Secondo Montanelli sarà allora da studiare, da analizzare e comprendere questo strutturato meccanismo politico e culturale. E verificarne così la supposta specificità fascista od appurarne la costante permanenza donde, da secoli, si renderebbe manifesto un indelebile carattere italiano. Carattere di chi, consapevole in anticipo della tragedia, si ingegna a tenersene lontano e si stringe ad una condotta comica, per prudenza scaramantica più che per profondo convincimento.

Disillusione preventiva che invita a un mesto, distaccato esame delle miserie umane, a imitazione d’una saggezza prelatizia, mantenuta al di qua d’ogni possibile sentenza, che sia assolutoria o di condanna.

Carattere che autorizza – dopo aver tentato ogni via di personale salvaguardia, magari percorsa fino alle poste più miserabili ed umilianti – un soprassalto estremo di orgoglio da gettarsi in faccia all’avversario a ribadire, magari col sacrificio della propria vita, la gratuità d’ogni gesto eroico, la sua inutilità.

Vale quel che vale, ma da questa rappresentazione d’un carattere italiano parrebbe nascere il fulcro emotivo della cinematografica ‘commedia all’italiana’ degli anni tra 1950 e 1970 ed il limite critico della sua carica politica.