Jake Daniels è un promettente attaccante di 17 anni che ha di recente firmato il suo primo contratto da professionista con il Blackpool, compagine di Championship inglese (l’equivalente della nostra serie B). Sebbene si stia appena affacciando sulla grande ribalta calcistica, è già diventato un simbolo per il mondo del calcio, e non solo. È stato infatti il primo giocatore inglese a fare coming out dal 1991 a questa parte.

«Naturalmente sono consapevole che ci saranno delle reazioni a tutto ciò e che alcune saranno omofobe, forse in uno stadio e sui social media» ha dichiarato con sano realismo ai media d’oltre Manica. Ed è innegabile che da questo momento in poi per lui non saranno tutte rose e fiori, per usare un eufemismo. Ma è altresì palese che rispetto al passato il contesto è cambiato, in meglio. L’intolleranza è diminuita nella società e nelle arene calcistiche, con iniziative promosse dalle istituzioni sportive tese a promuovere la difesa dei diritti della comunità LGBT. Questo non vuole dire che il problema sia risolto e che, come sostengono alcuni sociologi e attivisti, alcune siano mosse «di facciata», tuttavia basta ripercorrere i fatti legati al precedente coming out di un calciatore per notare delle profonde differenze.

Quando, nel 1991, Justin Fashanu dichiarò pubblicamente di essere omosessuale, dopo anni di pruriginose illazioni, battute becere e atroci insulti, si scatenò un vero e proprio pandemonio. Forse il più «sgradevole» fu il fratello John, anche lui giocatore di football, lesto a condannare senza mezzi termini Justin, il quale aveva fatto malissimo a sbandierare ai quattro venti la sua omosessualità, tanto che nessuno avrebbe più voluto giocare con lui o addirittura cambiarsi nel suo stesso spogliatoio. Anni dopo ammise addirittura di aver offerto 75mila sterline al fratello per tacitarlo, «affinché non mettesse in imbarazzo la famiglia».

La vicenda di Justin Fashanu è tanto triste quanto altamente paradigmatica: anche lui attaccante di bellissime speranze, riuscì talmente a impressionare nella prima fase della sua carriera che quando passò dal Norwich City al Nottingham Forest nel 1981 divenne il primo giocatore di origine africana (Nigeria) per il cui trasferimento fosse pagato un milione di sterline. Qualche mese prima aveva segnato il goal dell’anno nientemeno che ad Anfield, contro il Liverpool, dominatore di quell’epoca. Ma al Nottingham le cose andarono malissimo, e certo non aiutò l’atteggiamento non esattamente tollerante dell’allenatore Brian Clough, altra icona del Beautiful Game del secolo scorso – che infatti gli impedì di fare coming out già nel 1982 «perché non voglio che la mia squadra sia etichettata come un club di gay». Poi la carriera di Justin si perse in comparsate mediocri in compagini minori, fino ai semi-dilettanti svedesi del Trelleborg e agli amateur totali del Miramar Rangers, in Nuova Zelanda. Nel 1998, negli Stati Uniti, il giocatore fu accusato da un ragazzo di 17 anni di violenza sessuale. Poco dopo essere fuggito nel Regno Unito, Fashanu si tolse la vita impiccandosi.

Un dramma, quello dell’ex calciatore del Nottingham Forest, raccontato una decina di anni fa in un documentario da sua nipote Amal, giornalista molto impegnata nel combattere l’omofobia nello sport. Il suo attivismo è legato anche a una solenne promessa fatta allo zio. Ovviamente Amal Fashanu ha accolto con grande apprezzamento il gesto di Jake Daniels – come per la verità ha fatto addirittura il principe William – e si è detta sicura che a breve farà coming out anche qualche giocatore della Premier League, il massimo campionato inglese, nonché quello più ricco e prestigioso al mondo. Tecnicamente non sarebbe il primo, perché qualche anno fa lo fece l’ex centrocampista dell’Aston Villa Thomas Hitzlsperger, che però aveva rivelato il suo segreto dopo aver lasciato l’attività agonistica. Chissà quando sarà il turno anche della Serie A. In Italia il calcio non sembra volersi affrancare dalla sua immagine machista, almeno non quanto sta facendo l’Inghilterra.