Anche se il Tokyo International film Festival dovrebbe essere l’evento cinematogtrafico del momento nel Sol Levante, quello di cui tutti parlano, ad occupare molta parte del discorso fra gli appassionati è il piccolo festival che da 25 anni si svolge poco lontano dalla capitale. Il Kawasaki Shinyuri Film Festival ha infatti deciso di sospendere la proiezione del documentario Shusenjo: The Main Battleground of the Comfort Women, che in un primo momento era stato invitato all’edizione di quest’anno. Si tratta di un lavoro diretto da Miki Dezaki e che aveva già fatto innervorsire più di qualche esponente delle destre. Il documentario infatti presenta una serie di interviste sulle cosiddette ianfu, le donne di conforto, costrette a prostituirsi durante il periodo bellico nelle zone occupate dal Giappone imperiale.

In agosto, nella città di Nagoya durante la Triennale di Aichi, l’opera Statue of Peace dall’artista coreano Kim Seo-kyung, anch’essa dedicata al tema delle ianfu, era stata ritirata dall’evento per paura di ripercussioni violente da parte di estremisti, ma anche per forti pressioni da parte del sindaco della città. La storia si ripete molto simile anche al festival di Shinyuri. La città di Kawasaki infatti, uno degli sponsor dell’evento, ha espresso preoccupazione per un eventuale proiezione del documentario: sia di ripercussioni violente da parte di estremisti di destra, che di eventuali problemi riguardanti querele al regista e al festival da parte di alcuni dei negazionisti intervistati nel film.

Così come alla Triennale, il risultato di queste pressioni è stata la cancellazione della proiezione del documentario. A questa decisione hanno reagito con forza molti addetti ai lavori, la risposta più forte ed eclatante è forse arrivata dalla Wakamatsu Production, casa di produzione fondata da Koji Wakamatsu negli anni sessanta, che ha ritirato due dei suoi film dal festival, 25/11 Il giorno dell’autodeterminazione – Mishima e i giovani, uno degli ultimi film diretti da Wakamatsu nel 2012, e Dare to Stop Us, che della Wakamatsu production raccontava la storia.
In un dibattito organizzato alcuni giorni dopo la decisione presa dal festival, si è espresso sulla questione anche Hirokazu Kore’eda che ha ribadito come gli sponsor di una manifestazione festivaliera non possano influire sulla decisione presa dagli organizzatori e da chi al festival lavora con impegno per costruire una selezione di qualità. Limitare la scelta dei film presentati, ha continuato Kore’eda, porta inevitabilmente ad un impoverimento del festival stesso ed alla sua inevitabile fine.

Il regista giapponese ha poi citato una situazione simile, accaduta al festival di Busan cinque anni fa, quando l’amministrazione della città coreana, anch’essa sponsor dell’evento, si era opposta alla proiezione del documentario The Truth Shall Not Sink With Sewol, sulla tragedia del traghetto Sewol in cui persero la vita quasi trecento persone. Il festival di Busan però, il più grande in tutta l’Asia, grazie anche ad un enorme supporto e mobilitazione internazionale, aveva continuato per la sua strada mostrando il film in questione.
Purtroppo questi accadimenti sono abbastanza indicativi dell’aria che tira in certi ambienti culturali giapponesi, e della concezione di arte e cultura che ha molta parte del governo. Tutto questo avviene mentre il documentario, proprio in virtù delle discussioni che ha alimentato in questi ultimi mesi, è stato distribuito in più di cinquanta cinema giapponesi ed è ancora proiettato in alcuni teatri dell’arcipelago.

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