Howard Rheingold si qualifica subito, in questo Perché la rete ci rende intelligenti, come un imprenditore della Rete. Lavora, coltiva amicizie, scrive, insegna connesso al web per gran parte della giornata. Ma anche quando si distacca dal computer e dallo smart-phone sa che è always on, perché una volta riacceso il computer o il telefono cellulare, ci sono le mail o i tweet che scorrono sul telefono cellulare o i post ricevuti nel suo blog o quelli che vanno a «depositarsi» nel suo profilo in un social network che gli ricordano che la sua vita sociale avviene prevalentemente in Rete. A differenza di molti altri che hanno un’esperienza simile alla sua, non vede tuttavia nel web un buco nero dove è risucchiato o una tecnologia della comunicazione che rende «stupiti», come sostiene da alcuni anni Nicholas Carr, altro pioniere del World wide web, che è passato dalla schiera degli entusiasti a quella sempre più numerosa degli scettici, se non dei critici più feroci.

Per Rheingold la Rete è una realtà che non si può cancellare, dalla quale non ci si può più disconnettere, perché è un sistema tecnologico «universale», che consente infatti non solo di comunicare, ma anche di lavorare e di produrre socialità. Serve quindi un addestramento, meglio una consapevolezza dei suoi limiti e delle sue virtù per condurre una vita degnamente on-line.

Howard Rheingold è stato uno dei pionieri della Rete. Conseguita una laurea umanistica, ha cominciato a interessarsi di tecnologia informatica nei primi anni Ottanta, mentre seguiva alcuni corsi di neurobiologia, convinto che una volta spiegato il funzionamento del cervello dal punto di vista fisiologico e di come sono organizzate le reti neurali si potesse costruire una macchina «intelligente». Ha inoltre frequentato il centro di ricerca della Xerox a Palo Alto, cioè quello straordinario laboratorio di ricerca nel quale saranno sviluppati i primi prototipi software che daranno impulso alla rivoluzione del silicio. Ha fatto parte del primo gruppo della rete informatica a livello regionale, Well, dove confluiscono ricercatori, analisti di sistemi, esponenti della controcultura che, tutti assieme, elaboreranno il nucleo fondante della «cultura di rete». È in quel contesto che ha preso forma il libro Comunità virtuali, all’interno del quale Rheingold descriveva le dinamiche sociali che l’uso della Rete mette in moto. Uomini e donne che danno vita a una comunicazione tra pari senza l’intermediazione di nessun mass media. Un libro seminale, affermeranno sia critici detrattori che entusiasti della tesi di Rheingold, cioè che il computer consentirà la costituzione di un’agorà che ignora confini nazionali o quelli, più impalpabili, costituiti dalla razza, dal genere, dallo status.

Da allora Rheingold ha continuato a macerare articoli, saggi, libri, fino a Smart mobs (Raffaello Cortina), dove sostiene che la rete ha costituito una silenziosa e virale rivoluzione sociale, perché ha destrutturato i rapporti di potere esistenti e perché ha permesso la manifestazione garbata del cosiddetto «potere della folla» di condizionare i comportamenti delle imprese, dei governi, delle organizzazioni sovranazionali.

Con questo libro vuole invece rispondere a quanti vedono nella Rete e nell’essere on-line un fattore, se non di istupidimento, regressivo della vita sociale. Da qui l’insistenza su processi di autoformazione e di crescita di un’ecologia del web che deve vedere coinvolti non solo i singoli, ma anche quegli imprenditori della Rete che sono riconosciuti come una sorta di opinion makers o di guru. I campi che sceglie Rheingold sono tre: la scoperta delle bufale che circolano in Rete, l’attenzione e l’azione politica.

Sui primi due aspetti, l’autore non fa che richiamare una famosa regola del giornalismo, in base alla quale ogni notizia deve avere una conferma e una verifica, attraverso una triangolazione tra la fonte di informazione, il singolo e altre fonti di informazione, siano essi siti dei media, blogger, semplici utenti. Sull’azione politica, invita a diffidare di chi vede nella rete la forma postmoderna dell’agorà: nella discussione politica on line sono presenti tutti gli aspetti della discussione off line. Più interessante il terzo campo che Rheingold affronta. Più che stupidi la Rete alimenta una caduta dell’attenzione a causa dell’eccesso di informazione. Allo stesso tempo, mette in guardia dalla ricerca del cosiddetto multitasking, un mito che non trova conferma nelle ricerche sul funzionamento del cervello. Ogni uomo o donna fa una cosa per volta: la sensazione di poterne fare in contemporanea è perché parcellizziamo il potenziale di attenzione, dividendolo per ognuna delle azioni che il singolo compie. Il problema per la rete è la possibilità di avere una mappa aggiornata dello stato di avanzamento delle operazioni per così dire in corso.

È però indubbio che c’è caduta di attenzione: a questo problema c’è una soluzione, come prendere appunti, costruirsi una sorta di agenda delle cosa che si stanno facendo e di quelle che si vogliono compiere. Insomma, una banalità. Ma ciò che l’autore introduce, e che costituisce un vero e proprio continente da esplorare, è la cosiddetta neuroplasticità, cioè la capacità del cervello umano di modificarsi a seconda degli stimoli e dell’habitat in cui è immerso. La Rete, afferma Rheingold, sta modificando l’organizzazione generale del cervello. È questo il nuovo terreno da studiare. La Rete non si può fermare; un ritorno indietro non è possibile, né ci si può disconnettere, a meno di scelte di vita radicali che escludono l’uso del computer.

La posta in gioco per l’immediato futuro è dunque il cervello, la mente umana, il suo funzionamento, la capacità che il cervello ha di modificarsi. È lo svelamento di questo arcano che ci può rendere più intelligenti, sostiene Rheingold. Ma è questo un terreno che va esplorato con la consapevolezza che i risultati delle ricerche possono essere usate per processi di assoggettamente, di consolidamento del sistema di potere vigente. Oppure può alimentare pratiche di sottrazione e di affermazione di libertà. Perché la Rete è parte integrante tanto dei dispositivi di potere vigenti, che delle pratiche di libertà che si manifestano dentro e fuori la Rete. La parola passa dunque non a una ipotetica ecologia della Rete, ma a quel modo di stare in società che non è l’amministrazione dell’esistente, ma la Politica, cioè la ricerca della libertà.