Internazionale

Come vedrete in tv i mondiali «cinesi»

Diritti televisivi Nel 2015 Wanda Group che fatturava 40 miliardi l’anno, acquista per 1,2 miliardi la Infront. Inondare di yuan il calcio globale è un modo per controllarlo. Ma il piano cinese è ben più lungimirante

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 31 marzo 2017

Sono le nove di sera, manca poco all’inizio della partita: la finale della Coppa del Mondo 2022. La tribuna stampa dello Stadio Nazionale di Losail, una new town dell’estremo lusso costruita una ventina di chilometri a nord di Doha, è piena. Gli spalti sono vuoti. Come quattro anni fa.

Stadio Luzhniki di Mosca, finale della Coppa del Mondo 2018. Allora però si trattava di misure di emergenza, per fronteggiare i temibili hooligans russi. Oggi i vuoti sono un sacrificio sull’altare della dittatura degli highlights.

Spostare il Mondiale 2022 in autunno è stato necessario per i calciatori, d’estate in Qatar le temperature raggiungono tranquillamente i 50°, non per i tifosi, quelli si sapeva già non sarebbero mai venuti. Tutto era stato pianificato perché accadesse così. Il calcio è trasmesso attraverso onde radio e trasformato in immagine tramite tubi catodici fin dagli anni Sessanta.

La Cina è ancora lontana, il primo campionato di calcio è del 1951 ma solo nel 1994 comincia il professionismo. La svolta arriva in Inghilterra, nel 1990, quando la piattaforma satellitare BSkyB di Rupert Murdoch triplica l’offerta per i diritti tv di ITV, e con un’offerta di mezzo miliardo di sterline permette la nascita di una lega calcistica privata, separata dalla Federcalcio, la Premier League.

Tutto questo è reso possibile dal Rapporto Taylor, la legge stadi messa a punto dopo la strage di Hillsborough (solo 25 anni dopo un tribunale stabilisce che la colpa di quei 96 morti è della polizia e non dei tifosi) che nello stesso anno modifica il rapporto di classe nella fruizione del pallone.

Filtraggi all’ingresso, obbligo dei posti a sedere e rincari del costo dei biglietti, aprono gli spalti alla upper class e ai turisti. È fatta fuori la working class, costretta a seguire il calcio in televisione. Il calcio passa dalla dimensione del capitalismo industriale a quello della speculazione finanziaria.

Cambia anche il gioco. Si fa così veloce che per seguirlo serve il replay. Talmente frequente che per starci dietro sono necessari gli highlights. Il pallone esce dagli stadi e dai tubi catodici ed entra nei diodi luminosi degli schermi al plasma. La Cina si avvicina.

La seconda svolta è infatti nel febbraio 2015, quando Wanda Group, il conglomerato guidato da Wang Jianlin, che all’epoca fattura qualcosa come 40 miliardi di dollari l’anno, acquista per 1,2 miliardi dal fondo statunitense Bridgepoint la Infront Sports & Media, società svizzera che gestisce marketing e la compravendita dei diritti tv per la Fifa e i maggiori campionati europei.

In pochi anni altri cento fiori fioriscono: gruppi cinesi si prendono parte o la totalità delle azioni di Inter, Aston Villa, Manchester City, Granada, Ado Deen Hag e così via. Ma è l’acquisto di Infront la Rivoluzione Culturale attraverso cui la Cina conquista il calcio globale.

Infront è una società con sede a Zurigo che nasce nel 2002 dalle ceneri della ISL (International Sport and Leisure), altra società svizzera di marketing sportivo e diritti tv che ha appena dichiarato bancarotta, e che quindici anni dopo si scopre essere la lavanderia delle tangenti e dei fondi neri della Fifa di Sepp Blatter.

Nel febbraio 2105 Infront conta 25 uffici in 13 paesi, fattura 1 miliardo e gestisce i diritti tv dei principali campionati europei. E la politica sportiva di alcuni di essi, come la Serie A di cui controlla i destini attraverso la sussidiaria Infront Italia di Marco Bogarelli e i suoi sodali Adriano Galliani e Claudio Lotito.

Nel febbraio 2015 a capo di Infront Sports & Media c’è Philippe Blatter, nipote prediletto di Sepp, che dopo l’acquisizione diventa presidente di Wanda Sports Holding, il braccio armato sportivo del Wanda Group.

Per capire l’importanza di questo passaggio basti pensare che lo scandalo nell’estate 2015 che travolge la Fifa e segna la fine di Sepp Blatter e Michel Platini è tutto giocato sulla compravendita dei diritti televisivi. I diritti tv, insieme all’hospitality (trasporti e accoglienza) valgono infatti oltre la metà del fatturato della Fifa: multinazionale svizzera che ogni quattro anni presenta un fatturato prossimo ai 5 miliardi e nel 2014, ultimo disponibile, rimpingua le sue riserve bancarie fino a 1,5 miliardi.

Il fango del dio pallone oggi è la complessa ramificazione di società di marketing sportivo in cui si muovono i colletti bianchi. Quando cade Blatter il suo successore è Infantino, ex delfino di Platini a sua volta ex delfino di Blatter. E la sua prima mossa è la nomina a responsabile marketing e diritti tv della Fifa del franco-svizzero Philippe Le Floc’h, ex responsabile della ISL, madre di Infront e di Wanda Sports Holding.

Tutto torna. Nel frattempo il potere della Cina nel calcio cresce a dismisura. All’estero tramite l’acquisizione dei più importanti club europei e di quelle società di intermediazione sportiva che gestiscono i più famosi calciatori (Gestifute del potentissimo procuratore Jorge Mendes, quello di Mourinho e Cristiano Ronaldo per intenderci, è acquistata dal fondo cinese Fosun).

All’interno con l’esplosione della Chinese Super League che a ogni sessione di calciomercato supera per soldi spesi la Premier League, raddoppia la Liga spagnola e la Serie A italiana. Ma sono sempre i diritti tv a farla da padrone.

Una cordata composta da Everbright e da Baofeng acquista per una cifra di poco inferiore al miliardo MP & Silva, altra società vicina a Infront che detiene i diritti tv esteri della Serie A. Mentre PPTV del Gruppo Suning, quello che ha rilevato l’Inter, acquista per 660 milioni i diritti tv esteri della Premier League. Inondare di yuan il calcio globale è un modo per controllarlo. Ma il piano cinese è ben più lungimirante.

Basti pensare che i diritti tv interni per il campionato cinese sono venduti nel 2015 a CMC (China Media Capital, fondo statale di cui fanno parte Wanda e Fosun) per 1.2 miliardi per cinque anni, tramite Ti’ao Power, broadcaster inesistente che permette così a CMC di rivendere a LeTv (colosso che già possiede i diritti di trasmissione in Cina dei principali campionati europei) i diritti per le stagioni 2016 e 2017 a 400 milioni di euro. Un’operazione che permette al governo di versare una quantità inaudita di soldi nella Federcalcio e nel campionato.

La terza svolta è nel marzo 2016. Pochi mesi dopo la presentazione del celebre programma «calcistico» di Xi Jinping. Nel marzo 2016 Wanda diventa main partner commerciale della Fifa. Non si conosce l’esatto ammontare del versamento, ma gli altri cinque sponsor principali – Coca Cola, Gazprom, Adidas, Visa e Hyundai – pagano un centinaio di milioni a testa.

Wanda diventa il primo partner cinese della Fifa nella storia, ma soprattutto Wanda è la stessa società che, avendoli rilevati al momento dell’acquisto di Infront, gestisce per la Fifa i diritti tv dei Mondiali 2018 in Russia e 2022 in Qatar e si candida per partecipare all’asta di quelli per i Mondiali 2026 e 2030, da giocarsi in paesi ancora da decidere. Il mondo progredisce, l’avvenire è radioso, e nessuno può cambiare il corso generale della storia. Figurarsi dei conflitti d’interesse.

Solo adesso, seduto sulle tribune dello Stadio Nazionale di Losail, mentre aspetto che l’Italia di Andrea Belotti, il centravanti che da oramai quattro anni gioca nel Guangzhou Evergrande, scenda in campo contro la Germania nella finale della Coppa del Mondo 2022, capisco che questo era solo l’inizio di una lunga marcia. Il 10 maggio 2020, al Congresso della Fifa di Bangkok, i Mondiali del 2030 sono stati assegnati alla Cina.

Non all’Argentina e all’Uruguay, che dovevano organizzare l’edizione del centenario in omaggio alla prima Coppa del Mondo, ospitata da loro 1930. Guardo gli spalti vuoti, le quasi cinquanta telecamere per la trasmissione digitale, virtuale e in 3D della partita, le pubblicità in ideogrammi cinesi che circondano il campo di gioco. E capisco che è giusto così.

A cinquemila anni di distanza dalle prime cronache che riportano il diffondersi su tutto il territorio cinese di un gioco chiamato zu qiu, il calcio attraverso la televisione compie il suo corso ciclico e torna lì, dove tutto ebbe inizio. In Cina.

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