Può capitare di tornare, dopo tanto tempo, a rivedere uno spettacolo già visto. Un bel ricordo, di dodici anni fa. Eppure le Miti pretese (compagnia di quattro eccellenti attrici che con quello spettacolo misero su «ditta» insieme) mantengono con costanza e coerenza quell’iniziativa che allora apparve avventurosa a qualcuno. Portano in dote, le quattro signore (amiche oltre che colleghe, alcune di loro compagne di ventura in storici e memorabili opere di Luca Ronconi) la loro bravura, e anche una sicura lungimiranza; per cui proprio il titolo di dodici anni fa mantiene inalterato, se non «aggravato», il proprio urto sociale, insieme a piacevolezza e facilità con cui lo riportano al pubblico.

IL TITOLO iniziale resta anzi il loro cavallo di battaglia, che mostra ancora amaramente come l’Italia non è certo migliorata in questo decennio, e neppure nell’ultimo cinquantennio. Il titolo è quello di un caposaldo del cinema neorealista: Roma ore 11 (passato in questi giorni al Teatro del Lido a Ostia, ma a metà maggio al Piccolo Teatro di Milano, in una minipersonale di tre spettacoli in tre settimane), ovvero il film di Giuseppe De Santis che quella stessa storia raccontò. La sua sceneggiatura (come oggi lo spettacolo) era nata da un’inchiesta che Elio Petri, allora giovane cronista de L’Unità, aveva svolto per ricostruire una tragedia da poco accaduta a Roma: il crollo di una rampa di scale, al numero 31 di via Savoia, affollata da centinaia di donne che rispondevano ad un annuncio apparso sui giornali, per l’assunzione di una segretaria in un ufficio. Fu una vera tragedia per tutta la città, dai cui quartieri provenivano le ragazze, che causò una morte e moltissimi feriti. E tra i requisiti richiesti, oltre naturalmente alla «bella presenza» e alla padronanza del lavoro d’ufficio, c’erano anche le fatidiche «miti pretese».

IL GRUPPO ORIGINARIO, che di quella pretesa padronale ha fatto la propria ragione sociale, è composto da Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Manuela Mandracchia (temporaneamente sostituita a Ostia da Sonia Barbadoro) e Mariangeles Torres (in sua vece Corinna Lo Castro): attrici importanti, che dopo aver condiviso la propria formazione, hanno intrapreso la pratica di un modello alternativo e autogestito. Interpreti e registe (anzi totalmente «autrici«) del proprio lavoro, mantengono freschezza e incisività in questa sorta di cinegiornale sul luogo della sciagura, così come in quelle periferie romane. Luoghi densi di tenerezza e senso di appartenenza, ma anche di pregiudizio e ingenuità: una lente pasoliniana per inquadrare l’humus profondo del nostro paese, e che aiuta a cogliere e distinguere le facce contraddittorie di Torre Maura, tanto per fare un esempio. Senza facile sociologia o bozzetto oleografico, ma piuttosto con la forza autorevole della migliore tradizione neorealista. Che pure non lesina affondi commoventi (un meraviglioso Cha cha cha della segretaria a più voci e a passo di danza, come di dovere) e riflessioni e bisogni che vanno oltre la semplice disillusione.

LA PRETESTUOSITÀ di quelle offerte di lavoro di più di mezzo secolo fa, gridano vendetta ancora oggi, per l’inefficienza abituale di centri di lavoro interinale o degli uffici pubblici del lavoro. Allora certo non esistevano i navigator, e forse anche per questo la visione da dopoguerra ci appare sul problema lavoro nella sua più trasparente, e attuale, crudeltà.