È stato avvertito dalla Turchia al Pakistan; a Baghdad hanno pensato si trattasse di una delle bombe che con cadenza regolare portano morte nella capitale: un sisma di magnitudo 7.3 domenica sera ha colpito il confine tra Iran e Iraq, uccidendo oltre 450 persone e ferendone 7mila.

Ma il bilancio si aggrava di ora in ora, man mano che i soccorritori avanzano in un territorio di per sé isolato, i monti Zagros nella provincia iraniana di Kermanshah, estremo occidente del paese alla frontiera con il Kurdistan iracheno.

Territorio a prevalenza curda, comunità antiche di 12 millenni, villaggi che vivono di pastorizia e agricoltura, ma anche sede di importanti raffinerie e dei valichi con il territorio iracheno, Kermanshah è la zona che ha subito i danni maggiori.

La maggior parte delle vittime si registra qui, sebbene siano 14 le province colpite dal sisma. Si parla di 70mila sfollati, ma raggiungere tutte le comunità interessate è difficile: frane sono cadute sulle vie di comunicazione, molti villaggi sono tuttora isolati. È questo che fa temere che il bilancio possa seriamente aggravarsi: sono 1,8 milioni le persone residenti entro i 100 chilometri dall’epicentro, stimavano ieri le Nazioni Unite.

Mancano acqua e elettricità, le linee telefoniche sono interrotte e il principale ospedale della città di Sarpol-e Zahab – dove la devastazione è maggiore – è stato seriamente danneggiato. Le immagini che arrivano tramite la rete e i fotoreporter mostrano il livello di distruzione: case ridotte in macerie, palazzi di cemento come le piccole abitazioni di fango.

Le autorità di Teheran hanno immediatamente inviato sul posto – oltre alla Mezzaluna Rossa e ai soccorritori che stanno già montando ospedali da campo – anche le Guardie Rivoluzionarie e una squadra di ministri (guidata da quello degli interni) per valutare il livello dei danni e le modalità di intervento.

Territorio di sismi devastanti e frequentissimi (con cadenza annuale e i bilanci peggiori che risalgono al 2003 con 26mila vittime nel sud est e al 1990, 50mila morti nel centro nord), l’Iran si trova nel punto di scontro tra il placca araba e quella euroasiatica. Le stesse montagne Zagros ne sono il frutto.

È stato di emergenza anche nel vicino Kurdistan iracheno: qui ad essere colpita è stata la provincia orientale di Suleymaniya, dove si contano una decina di morti e 400 feriti. È a Suleymaniya che sono arrivati i primi aiuti esteri, oltre a quelli del governo centrale iracheno: la Turchia ha già inviato team di soccorritori, 10mila letti e 3mila tende.

L’assistenza immediata è fondamentale: in inverno i territori tra Iraq e Iran raggiungono temperature molto basse e già in queste ore decine di migliaia di persone dormono all’addiaccio. E, per timore di danni e fuoriuscite, Teheran ha fatto temporaneamente spegnere i principali impianti di gas dell’ovest.

La zona interessata è centrale nel sistema di esportazioni iraniano: gas e petrolio, ma anche prodotti alimentari. Ieri la National Iranian Gas Company rassicurava: il terremoto non ha interrotto il flusso verso il Kurdistan iracheno.

È, storicamente, anche zona di confronto militare tra l’esercito iraniano e i combattenti curdi: le province di Kermanshah, West Azerbaijan e Kordestan ne sono state il cuore, in particolare dopo la rivoluzione khomeinista del 1979, negli anni ’90 e di nuovo tra il 2004 (quando è nato il Pjak, fomazione vicina al Pkk e al sogno di un’autonomia dentro lo Stato iraniano) e il 2011.

Un confronto che ha provocato, secondo il partito curdo Kdpi, almeno 30mila morti civili e limitato lo sviluppo economico locale.