Si sente tanto parlare di «giovani autori»- il fumetto non fa eccezione- ma quando si tratta di graphic novel, è imprescindibile contemplare la categoria giovanissimi. E giovanissime, come in questo caso. Anna Magnani, romanzo biografico a fumetti sull’attrice culto, presentato un paio di settimane fa da Becco Giallo Editore al Comicon di Napoli, è firmato dalle esordienti Rachele Morris e Marcella Onzo. Entrambe nemmeno 30enni nascono a Torre del Greco, dove si conoscono e collaborano a diversi progetti prima che Rachele si trasferisca a Pisa. Giovanissime, ma in possesso di uno stile già molto riconoscibile, si confrontano con un personaggio mitico del cinema italiano con la cautela e la serietà che il genere biografico e lo spessore e complessità della sua protagonista impongono: Nannarella, l’attrice per antomasia che si rifiutava di definirsi attrice; l’attrice lavoratrice, quasi un’operaia dell’interpretazione drammatica; «un cavallo al quale non bisogna mettere le briglie», come lei stessa si definì, spiegando il suo rapporto con i registi.
Abbiamo raggiunto le autrici per parlare di questo importante progetto.

Marcella, Rachele: chi è Anna Magnani per voi e come nasce l’idea di un fumetto sull’attrice?

Marcella Onzo: L’idea è nata quando nel 2014 Rachele partecipò allo scouting di Beccogiallo, durante il Lucca Comics&Games. All’editore piacquero i suoi disegni e le suggerì di pensare a biografia a fumetti , magari su un personaggio femminile. Non so precisamente come Rachele sia arrivata ad Anna Magnani, ma ricordo bene che mi raccontò che quando era piccola su un libro delle elementari vide una foto dell’attrice che non conosceva ancora, ma che le diede un forte senso di serenità, oltre al fatto di trovarla bellissima.
Rachele Morris: Il progetto era nato come collaborazione con un altro autore: rimasto fermo per diverso tempo, nell’ estate 2015 con Marcella lo abbiamo recuperato; abbiamo ripreso qualche vecchio appunto e ci siamo messe al lavoro, cambiando il soggetto e ridisegnando le tavole.
Conoscevamo già i film e per grandi linee la storia della Magnani, ma è stata la fase di studio e poi quella di scrittura ad avvicinarci di più alla figura dell’attrice romana, della quale sono emersi aspetti del carattere e vicende che non conoscevamo e che hanno rafforzato la nostra voglia di raccontare la sua storia di donna e di attrice.

Il prologo è a cura di Matteo Persica, giovane biografo della Magnani. Il suo libro è tra le vostre fonti? Cosa vi è piaciuto del suo approccio?

Il libro di Matteo Persica, Anna Magnani. Biografia di una donna (Odoya, 2016) è stato provvidenziale per quanto riguarda le fonti. Troviamo che l’autore abbia fatto un’ottima raccolta di informazioni e un lungo lavoro di ricerca: ci sembrava doveroso coinvolgerlo, in qualche modo.

Il libro inizia con un sogno e con la famosa telefonata con cui si conferisce il premio Oscar a Anna: ho interpretato il sogno iniziale e i telefoni- non solo quelli bianchi sono frequenti nel libro- come una specie di rifugio altrove, un impulso a sottrarsi alla realtà, dalle scene ma anche dalla vita vissuta. Cosa ne pensate?

M.O.: Il soggetto è nato fin da subito con l’idea di questo sogno iniziale, che poi abbiamo ripreso alla fine. Volevamo ritagliare questo momento di narrazione più «libera», uno spazio per poter dire la nostra su questa storia, ma in maniera astratta e condensata.
Effettivamente dai primi feedback che abbiamo avuto, abbiamo notato che ognuno ha interpretato questi momenti onirici in una maniera diversa, e ogni interpretazione ci sembra che abbia colto qualcuna delle innumerevoli sensazioni che ha suscitato in noi la storia di Anna Magnani, e che abbiamo cercato di restituire col fumetto.
Credo che il telefono sia sicuramente uno strumento che ci collega con un «altrove», così come il sottrarsi dalla realtà sia un po’ un istinto naturale per tutti, ma che per alcuni artisti sia proprio uno dei motori motivazionali più forti; quindi sì, credo che la tua interpretazione sia attinente.

Anna non faceva segreto della mancanza d’affetto sofferta durante l’infanzia. Quanto, secondo voi, questa carenza ha influito nella sua traiettoria vitale e artistica?

R. M.: La mancanza d’affetto ha sicuramente influito sul modo di vivere le relazioni: dalla documentazione emerge una certa voglia di stabilità emotiva e un attaccamento molto forte verso gli amici più intimi. Anna si donava ai suoi cari in maniera incondizionata, proprio come faceva sul palco e sul set.
M.O.: Quanto le circostanze di vita influiscano su una certa attitudine artistica è una delle domande che mi sono posta anche io leggendo le varie biografie sulla Magnani. Sicuramente questa carenza d’affetto è stata molto decisiva nella ricerca d’approvazione e d’amore che ha rivolto al pubblico, ma è pur vero che non tutti quelli che hanno avuto simili mancanze sono diventati artisti altrettanto grandi. Il teatro e dopo il cinema sono stati mezzi (anche un po’ per casuali, altro dato molto interessante) per incanalare certe sensazioni.

Il talento è sicuramente un dono: avete mai pensato che per la Magnani sia stato forse più una scelta, una missione? 

R. M.: Nella Magnani dono e necessità coesistevano: c’era una forte dose di talento ma anche tanta determinazione e voglia di lavorare, era una donna sempre in movimento, studiava continuamente ed era sempre a teatro o sul set, quando non vi lavorava contemporaneamente. Penso a Roma, città aperta, film fondamentale del neorealismo, simbolo della rivoluzione cinematografica in Italia, come a una pellicola impregnata dal rapporto professionale e personale tra la protagonista e il regista Roberto Rossellini, un sodalizio umano e artistico che ha influito sulla storia del cinema italiano. Quindi in fondo vita e arte sono in Anna aspetti compenetrati e inestricabili?
R. M.: Si compenetrano ma non in maniera inestricabile e soprattutto, a differenza di altri rapporti attore/regista degli stessi anni, Anna è rimasta sempre indipendente.
M.O.: Io credo che molte delle opere fondamentali, in qualsiasi ambito artistico, siano frutto di situazioni e incontri particolari. In questo caso in particolare la stessa Anna definì come «un miracolo» l’incontro tra lei e Rossellini e il modo in cui sono riuscirono a tirare fuori il meglio l’uno dall’altro e da ciò che stavano raccontando.
Non so se il legame sentimentale sia stato l’aspetto più importante o se la sua vita personale abbia compenetrato la sua vita artistica.
Non credo ci siano vere leggi per queste cose, ma forse esistono incontri che riescono a creare piccoli miracoli che, come nel caso di Roma città aperta, acquisiscono valore per tante persone e restano nella storia.

Il successo di Anna Magnani attrice però non coincideva, secondo le sue parole, con il suo destino di donna. Su quale delle due Anna avete lavorato di più e come vi siete divise il lavoro?

R. M.: Abbiamo lavorato assieme su entrambi gli aspetti e sicuramente non è stato semplice giocare su questo dualismo successo/insuccesso. Avevamo paura di cadere in banalità; per esempio, abbiamo scritto più volte il terzo capitolo legato alla relazione con Rossellini e allo scandalo scoppiato dopo il suo «tradimento», sentimentale e professionale, con la Bergman. Volevamo che parlasse il cinema, così abbiamo inserito l’ultima collaborazione Rosselini-Magnani, Una voce umana, che è un lungo monologo di una donna che cerca di trattenere il suo uomo (al telefono) fino alla fine.
M.O.: Inoltre, nella fase di ricerca, ci siamo accorte che molto è stato detto sulle sue vicende sentimentali, e sebbene sarebbe stato facile insistervi, non ci interessava farlo. Lì dove il giornalista (un po’ il nostro coprotagonista) cerca di scavare nelle faccende personali, è la «nostra» Anna che si difende.

Quando e come avete ideato la scrittura duplice, integrando la voce off di Anna, le sue dichiarazioni e interviste allo showing, alla narrazione diretta? Qual è il motivo di questa scelta?

R.M.: Nella prima stesura c’era soltanto una successione di eventi e ricordi incastrati tra loro; nella seconda, che è arrivata un anno dopo, abbiamo deciso di introdurre anche la figura del giornalista e la voce off di Anna per inserire alcuni estratti di film e interviste, per essere quanto più oneste e rispettose circa il pensiero reale della Magnani.
M.O.: Inoltre c’è da dire che dare voce «in presa diretta» a una personalità come quella della Magnani è un compito difficilissimo. Le didascalie con la voce off ci hanno dato la possibilità di raccontare usando le parole reali dell’attrice e lasciando alle immagini un compito più suggestivo ed emozionale.

Un rigoroso bianco e nero, una composizione vivace, un segno netto eppure drammaticamente eloquentissimo. Credo che le quattro mani che hanno disegnato il libro trasmettano non solo l’intensità drammatica e umana della Magnani, ma anche l’ésprit du temp. Quali regole o intenzioni artistiche avete seguito? Come avete adattato vostro stile all’idea che avevate?

R.M.: In una primissima fase del progetto volevamo inserire il colore per creare un ulteriore stacco tra la vita di Anna e la sua carriera, poi abbiamo preferito il bianco e nero.
Ci siamo divise il lavoro in modo da ricreare il distacco che volevamo per cinema e vita col solo inchiostro, per questo io che ho un modo di inchiostrare più pulito mi sono occupata della vita e dei ricordi mentre Marcella che ha un tratto più deciso e ricco ha disegnato le parti legate al cinema e al teatro.
M.O.: In particolare io nelle parti legate al teatro e al cinema ho cercato di usare il nero seguendo l’emotività del momento che stavo descrivendo. Nelle parti più «leggere» come quelle a teatro con Totò, c’è un tratto più chiaro, mentre nei momenti più drammatici ci sono ombre e neri pesanti.
Le tavole finali molto chiare e luminose, disegnate da Rachele, sono in linea con la sensazione di serenità che volevamo trasmettere.