La commedia del week end è Sarà il mio tipo?, di Lucas Belvaux, regista belga che ha il giusto distacco per poter maneggiare con leggerezza stereotipi cari al recente cinema francese: così come il cinema italiano sforna in continuazione intrecci sulla crisi, quello francese si sposta sempre volentieri in provincia (ultimo della serie assai emblematico Gemma Bovery) mettendo a confronto lo snobismo parigino e la genuinità di brettoni e normanni, les gars du nord et du pas de Calais come dice una canzone popolare citata nel film. Clement (Loïc Corberys, attore e regista teatrale, scoperto da Agnès Varda, dall’aria un po’ allucinata alla Anthony Perkins), insegna filosofia a Parigi e per un anno dovrà andare a insegnare in provincia, ad Arras (che di Pas-de-Calais è il capoluogo).

Il giovane professore, costernato, sente che il mondo gli crolla addosso, lui fuori da Parigi si sente morire. Ma dovrebbe immaginare che vi abita gente piuttosto battagliera, discendente dai Galli belgici, gli ultimi ad arrendersi ai romani. Invece, mentre si crogliola nella sua malinconia, incontra una bomba di allegria, Jennifer (l’attrice belga Emilie Duquenne, la Rosetta dei Dardenne) una parrucchiera che gli aggiusta i capelli e potrebbe anche rinnovargli il cervello. Nella tradizione delle bionde svampite esibisce un sorriso perenne, è la gioia del piccolo figlio che alleva da sola, canta in abito di lamé al karaoke locale insieme alle altre sciampiste.

Mentre si crea un’atmosfera alla Jacques Démy, una perfetta costruzione di colori e canzoni che formano girandole di sentimenti, Clement è circondato dall’ombra. Lui che viene da una famiglia dove si fanno battute su Poulenc e Massenet è attratto dalla bionda parrucchiera perché non ha niente da fare e inizia una storia che è piuttosto un combattimento: si confrontano un universo fatto di concetti e un mondo di sogni e sentimenti. L’intellettuale parigino usa come arma di seduzione i libri, attacca con un ponderoso Dostojevskij e lei glielo restituisce letto e commentato, aleggiano le parole di Zola e non mancano i Petits poèmes en prose di Baudelaire, ma quando arriva a citare Madame Verdurin (…con quella specie di buon senso che quella gente del popolo conosce…) lei ha già capito che un baratro li separa.

Eppure lui, entusiasta, ha trovato «kantiane» le sue considerazioni sulla bellezza, ma si limita a dedicarle un libro con un asettico «Amicalement», con amicizia. I dialoghi dei film di Rohmer sono certo più sanguigni, più appassionati alla fraseologia, ma non manca un’allusione a quel gusto tutto francese al cinema della «parole».

E al buon senso così stigmatizzato, ai sentimenti così fuori moda. È una riflessione anche rivolta al pubblico: gli interessa di più la storia che racconta o quello che racconta la storia? Nella schiera delle bionde cinematografiche, dalla Monroe (di cui in filigrana si percepisce come un brivido la presenza di Arthur Miller), alla Doris Day che avrebbe manovrato con sapienza fino al matrimonio il più navigato playboy, alla candida Goldie Hawn che se la doveva vedere con l’imprendibile Walter Matthau (e già Cameron Diaz appartiene a un mondo più sofisticato), questa strepitosa Emilie Duquenne-Jennifer così poco esperta di sintesi a priori ma che gli uomini sembra conoscerli bene, commette il fatale errore di innamorarsi e di confessarlo. Del resto lei è una sognatrice, è della Bilancia (cosa mai può passare nella testa di Clement a una frase del genere?) Certo lui non sa essere felice, è un Gemelli.