Kenneth S. Rogoff è scacchista, Gran maestro a partire dal 1978, ed economista. Ha studiato a Yale e al Mit e attualmente è professore di economia all’università di Harvard. In precedenza ha insegnato a Princeton, ha lavorato come capo economista al Fondo Monetario Internazionale e alla Federal Reserve.
Fa parte inoltre del G30, il Gruppo dei Trenta, organizzazione internazionale che riunisce uomini della finanza, della politica ed accademici del livello di Mario Draghi, Jean-Claude Tricher, Paul Volcker, Paul Krugman. Si tratta insomma di un tipico esponente dell’establishment economico finanziario ai vertici della struttura sociale contemporanea.

QUALCHE ANNO fa raggiunse gli onori della cronaca internazionale in quanto autore, insieme a Carmen Reinhart, di uno studio in cui si sosteneva che un alto debito pubblico, oltre il 90% del Pil, fosse alla base di livelli di crescita bassi o negativi dell’economia. Il paper, citato da personaggi come il commissario Ue per l’economia Olli Rehn, divenne in breve una delle basi teoriche per giustificare le politiche di austerità. Ben presto, però, altri ricercatori dimostrarono che tale studio presentava significative falle: problemi metodologici, manipolazioni dei dati ed errori di calcolo grossolani come un errore di codice nel foglio di calcolo originale utilizzato per selezionare i dati.
Di recente è uscito il nuovo libro di Rogoff, intitolato La fine dei soldi. Una proposta per limitare i danni del denaro contante (Il Saggiatore, pp. 333, euro 23). Un testo che per l’argomento trattato quasi sicuramente non mancherà di suscitare discussioni.
Lo studioso americano, infatti, in questo suo lavoro propone in pratica l’eliminazione del denaro contante dai circuiti economici. Certo, il piano dovrebbe essere attuato in maniera graduale, interessando prima di tutto le economie dei paesi più avanzati e partendo con la soppressione delle banconote di grosso taglio. Continuerebbero a circolare solo i tagli più piccoli, per le spese correnti, a loro volta da sostituire poi con monete, più difficili da maneggiare e trasportare in grandi quantità.

LE RAGIONI di tale cambiamento, secondo Rogoff, sono sostanzialmente di due ordini. Da una parte contrastare efficaciemente, se non eliminare del tutto, fenomeni come l’evasione fiscale, la corruzione, il lavoro nero, i traffici della criminalità organizzata, che prosperano anche, se non soprattutto, grazie al completo anonimato garantito dal contante. Dall’altra permettere l’applicazione di tassi d’interesse negativi da parte delle banche centrali, fatto praticamente impensabile nella situazione attuale – caratterizzata tra l’altro da tassi in pratica a livello zero – perché si scatenerebbe appunto una corsa al denaro contante. Secondo il professore di Harvard una politica monetaria che prevedesse anche tassi negativi garantirebbe maggior efficacia nei periodi di crisi.

IL TESTO È SCRITTO in maniera semplice e piana e vuole rivolgersi anche ai non specialisti. Tanto che il suo difetto più evidente risiede nelle continue ripetizioni di temi e argomenti già trattati, nell’ansia probabilmente di farsi comprendere bene dal lettore.
Tutti i diversi problemi connessi all’innovativa proposta vengono dunque affrontati distesamente. E anzi, trattando anche della storia del denaro, si arriva a dimostrare che tale suggestione non è neanche così innovativa.
Qualcosa del genere era già stato proposto nel passato ed addirittura Kublai Khan, l’imperatore della Cina di cui parla Marco Polo, aveva già applicato una soluzione simile. Certo, in un’era di digitalizzazione e smaterializzazione appare quanto meno conseguente che il capitalismo cerchi risposta alle sue crisi andando a togliere ogni residuo materiale proprio a quell’elemento, il denaro, che oltre a presentare già, in quanto equivalente generale, caratteristiche di astrattezza pura, è alla base dei circuiti e della relazioni socioeconomiche in atto.