L’ebrezza dei finanziamenti europei può generare mostri. L’idea che grazie alle risorse di Next generation Ue tutto sia possibile è particolarmente pericolosa per un Paese come il nostro, come purtroppo abbiamo già visto nell’ennesima ripresa del penoso dibattito sul Ponte sullo stretto di Messina. Ma forse ancora più preoccupante è quanto si trova nero su bianco nel progetto di nuova linea ad alta velocità tra Salerno e Reggio Calabria presentato da RFI. Chi può essere contrario a rendere più veloci e frequenti i collegamenti in treno al Sud? Nessuno, eppure il progetto proposto è da contrastare con forza, come l’idea che l’area del Paese che più ha bisogno di attenzioni e investimenti la si possa rilanciare con una nuova linea ferroviaria a doppio binario tra le montagne dell’Appennino, dove i treni possano correre a 300 chilometri all’ora.

Ossia in una delle zone più complicate del Continente da un punto di vista morfologico e sismico, per cui la spesa inevitabilmente schizza alle stelle, con una previsione che si aggira tra i 22 e i 29 miliardi di euro. Ma siamo ancora a un preventivo di massima, come si scrive con chiarezza, tutto da verificare. Ancora prima delle questioni ambientali, che pure sono rilevanti con quasi 190 chilometri di gallerie da scavare e viadotti da tirare su tra Battipaglia, Praia e Tarsia, è proprio la spesa prevista a risultare inaccettabile. Se pure quelle risorse vi fossero, ed è tutto da dimostrare, vi sono certamente altre priorità più urgenti in territori dove in questi anni si è visto tagliare tutto: dalla sanità alla scuola, dagli interventi per fermare il dissesto idrogeologico al recupero di un patrimonio edilizio sempre più degradato. Senza considerare che in questa area del Paese negli ultimi dieci anni gli intercity e i treni regionali in circolazione si sono ridotti e sono ancora invecchiati.

Evidentemente in Italia non ci sono i soldi per garantire i treni in circolazione, ma si possono trovare per l’opera più costosa che il nostro Paese abbia mai messo in campo. Il problema è che anche da un punto di vista trasportistico il gigantismo del progetto proprio non sta in piedi. Nelle 222 pagine consegnate alle commissioni parlamentari manca l’unica simulazione che ci si sarebbe aspettati: ossia come migliorare la linea a doppio binario che oggi esiste tra Salerno e Reggio Calabria, con investimenti tecnologici, varianti nei tratti problematici, revisione delle sagome di alcune gallerie per renderle percorribili anche ai nuovi treni merci più lunghi, adeguamento di alcuni raggi di curvatura. E poi, rafforzamento delle connessioni con i porti di Gioia Tauro, con l’aeroporto di Lamezia Terme e con Cosenza, con la linea Jonica verso Taranto e Bari. Tutto questo non c’è, forse perché non piaceva a chi non vede l’ora di potersi candidare a muovere cemento a caro prezzo, come è sempre avvenuto in Italia per i cantieri dell’alta velocità che sono i più costosi d’Europa.

Dobbiamo augurarci che il ministro Giovannini riesca a realizzare, proprio a partire da questo progetto, il cambio di impostazione di cui ha bisogno il nostro Paese. Perché la sfida non è risparmiare 45 minuti su 400 chilometri di tracciato, ma realizzare qualcosa di davvero utile. Che dia la possibilità di collegare più velocemente Napoli con Reggio Calabria, ma soprattutto di dare un segnale di cambiamento da subito a chi vive in questa parte del Paese. Un progetto che renda possibile quello che oggi rimane un sogno per cittadini e turisti, ossia di muoversi senza auto tra città, porti e aeroporti, località balneari. Sono queste le idee che devono trovare spazio nel recovery plan italiano, lasciando da parte le ambizioni di chi vorrebbe riempire di gallerie l’appennino.