Dopo un ventennio di lottizzazione della memoria – la giornata degli ebrei, ma anche le foibe; la giornata per i morti di mafia, ma anche i militari e civili delle operazioni di pace -, doveva ben arrivare il momento dei Borbone. E infatti è arrivato, sotto l’insolito vessillo del Movimento 5 stelle, e sotto la paternità intellettuale di Pino Aprile, autore di due libri come Terroni e Carnefici, entrambi purtroppo capillarmente diffusi nelle scuole del Regno, pardon, del Meridione d’Italia, grazie al diretto e semplice messaggio consolatorio e deresponsabilizzante di cui sono portatori: il Sud stava meglio sotto la monarchia borbonica, il Nord lo ha spogliato delle sue ricchezze, torniamo al passato glorioso.

Una mozione che istituisce una «giornata della memoria per i morti meridionali del processo unitario» si aggira per le Regioni e per i Comuni da Cassino in giù, e viene proclamata per il 13 febbraio, il giorno della caduta di Gaeta e della deposizione di Francesco II, trovando appoggio nelle istituzioni a destra e a manca, e consenso da parte di un popolo impoverito, scontento e sbandato da un ambiente politico-culturale populista ed eclettico quanto mai prima. Forse potevamo aspettarcelo, se per vent’anni sono stati riconosciuti bilinguismi improbabili da Aosta a Leuca, mentre gli scolari fanno orrori di grammatica italiana; se la legislazione sulle Regioni è stata prima forzosamente orientata in senso autonomista e poi ripensata per riportare tutto a Roma; se la Lega ha saputo proliferare come partito di governo. L’indebolito Stato italiano del tempo della globalizzazione ha subìto lo tsunami delle «piccole patrie» e deve confrontarsi, da nord a sud, con l’invenzione della tradizione, per dirla con Eric Hobsbawm, cioè con un processo microidentitario tendente alla costruzione di nuove dimensioni di comunità, nel quale gioca un ruolo fondamentale lo spazio dell’immaginario.

Nell’attuale fase di crisi, la disidentificazione politica e ideologica, l’arrivo in massa di popolazioni altre, l’impoverimento progressivo, la difficoltà di controllare i luoghi lontani delle decisioni, hanno fatto riemergere i localismi che i processi di costruzione delle nazioni avevano apparentemente risolto. Il meridionalismo borbonico pentastellato si pone come opposto e uguale al nordismo, entrambi fondati sull’esaltazione di un passato mitico, di un’età dell’oro: il Medioevo dei Comuni per la Lega e il Regno borbonico per il Sud. Quanto più il passato mitico è lontano, tanto più la legittimazione è sacra, fin quasi a diventare un fatto più naturale che storico. E sul sottile crinale fra natura e storia, si innesta anche l’esclusione del diverso, del ceppo estraneo, dello straniero. D’un passo raggiungiamo il Pd, il tema del sangue e della terra, dello ius soli, dell’aiutiamoli a casa loro. Fallita la mission di Renzi di fondare il Partito della nazione, altre istanze possono convenire, come quella di operare in modo disgiuntivo nei vari territori. Così, lo stesso partito si batte al Nord per un referendum sull’autonomia fiscale e al Sud per la commemorazione di Francischiello, assecondando di volta in volta le diverse manifestazioni del senso comune popolare, e legandosi a soggetti politici diversi. La partita del revisionismo storico di questi mesi è, dunque, tutta politica.

La mozione è stata presentata anche in Parlamento, lo scorso mese di marzo dal senatore Sergio Puglia, il cui discorso si richiamava sincreticamente a Gramsci, Montanelli e Aprile, ma adesso una interrogazione sull’opportunità del provvedimento attende risposta. Dopo l’approvazione a larghissima maggioranza nel Consiglio regionale pugliese, con la benedizione di Michele Emiliano, la strada che sembrava spianata dall’Abruzzo alla Calabria alla giornata della memoria borbonica, ha trovato un intoppo: gli storici del dipartimento Disum dell’Università di Bari e delle altre università pugliesi hanno contestato il provvedimento, facendone notare la faziosità. In una regione con tre università, ci si aspetterebbe che il Presidente chiami qualche studioso fra i molti che si sono occupati di queste cose, per sapere cosa ne pensa, prima di procedere per le vie brevi. Ma l’università è anch’essa sotto il mirino del PD e dei 5 stelle, va valutata per essere smantellata, e quindi torniamo a bomba. Non a caso si parla di una storia ufficiale, corporativa e accademica a cui si opporrebbe una storia antiaccademica, nuova e finalmente non tradizionale, come quella della pubblicistica neoborbonica. Si è così aperto ai massimi livelli un dibattito che rischiava di rimanere in sordina, si sono mobilitate tutte le associazioni italiane per la ricerca storica, si è sollevato il problema della public history, si è scritto sui giornali, si è aperta una petizione che chiede il ritiro del provvedimento. Il dibattito è diventato nazionale, come nazionale è stata pensata sempre la questione meridionale dai suoi originari propositori, Salvemini e Gramsci in testa. Ed è solo l’inizio.