Litigare. Litigare. Litigare. E poi. Fare pace. Fare pace. Fare pace. Ma non più come prima dei figli che si faceva l’amore tutta la notte. Ora fare pace è mangiarsi un gelato di straforo, vedere un film vietato ai minori, fare mezzanotte in barba alla sveglia mattutina obbligatoria. La frase tabù «Se non avessi fatto lui/lei/loro» nasconde tutti i desideri non realizzati, le frustrazioni , le inadempienze mascherate da obblighi parentali. Ci si urla in faccia di tutto, recriminazioni punizioni mancate accettazioni, si pretende qualche secondo dopo che tutto sia dimenticato tramite un’invisibile pasticca obnubila-memoria che manco Star Trek l’aveva immaginata. Si ingoia fingendo che la sbobba più immangiabile sia la Sacher torte viennese comprata nella pasticceria di cui Nanni Moretti nemmeno sotto tortura fornirebbe l’indirizzo. Si guarda alla tele sempre qualcosa di compromissorio: film per tutti, serie tv per tutti. Ma chi l’ha detto che siamo tutti! Ognuno è ognuno, non esiste qualcosa che vada bene per tutti. E sopra i dieci anni questo non si può. E sotto i diciotto questo traumatizza. E la violenza. E il sesso. E le parole. E il tg. Ed è tutta una gimcana-slalom in cui nessuno resta salvo. Qualcuno deve cadere. Qualcuno paga sempre. Il giovane. L’adulto.

Dipende dai casi. Una casa racchiude molti segreti, ogni stanza coniuga in sé l’evidente agli occhi e l’invisibile, ciò che dichiara purezza bontà d’animo e belle intenzioni in superficie, ciò che esprime tentazione occulto trasgressioni basilari in profondità. Quello che si interseca tra i due piani, il minimo trait d’union tra i due mondi, è la vita quotidiana, lo scandire dei riti comuni, i pasti, , qualche minuto di relax sul divano, i turni al bagno. Parlarsi, confrontarsi, scontrarsi un terreno minato. Non perché manchi l’amore o il rispetto o un sapiente mix dei suddetti sentimenti, solo che è difficile capirsi in famiglia, come se la lingua comune verbale fosse stata azzerata dal coinvolgimento, come se desiderare il bene dell’altro impedisse che le parole assumano lo stesso significato per tutti, come se dire non fare questo perché è pericoloso/stupido/inutile da parte di un genitore equivalesse alle orecchie del figlio a sei uno sciocco non hai capito niente finirai male questo è sicuro te lo dico io. Costruire una gabbia non va bene, scappare dai vincoli è impossibile, tagliare i ponti magari più avanti, non ci sono alternative: crescere si fa a casa, tutti insieme, tra le quattro mura domestiche che a tratti sembra si stringano addosso a un solo essere umano, che sia prole o genitore, destinate solo a schiacciarlo come un rullo compressore verticale. Si cresce assieme sempre, a 10 come a 50 anni, volenti o nolenti, non vi è scampo.

Nessuno ha gli strumenti giusti. Si sta precari, sul filo sospeso sul baratro, si brancola accecati da famelico amoroso slancio, si cavalca uno stendino troppo pieno di panni luridi, si va avanti come non ci fosse un domani. Perché i giorni passano e sembra di non essersi mossi. Perché il tempo corre sul terreno scivoloso e appiccicoso della deriva silenziosa. Se ogni giorno si potesse rivivere il primo bacio, il primo tuffo, il primo amore allora, forse, saremmo tutti salvi. Ma non si può. Non funziona più nemmeno in un brutto film americano, trito e ritrito. Ormai questa storia è già vista, già narrata, puzza di marcio. Cuciniamo qualcosa di nuovo, piuttosto. Che piaccia a tutti. Perché fatto di sangue e sorrisi, di sdolcinatezza e succo di mela limpido, di tentativi ostinati e gioco, di visceralità animali domestici bugie bianche e dichiarazioni d’amore, anche quelle che proprio non si possono sentire. Proviamo così. Bon appétit.

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