Se volessimo considerare la storia dell’Italia contemporanea come un grande romanzo, potremmo individuarne alcuni capitoli fondamentali: il Risorgimento, la Grande guerra, il Fascismo, la Resistenza, la Ricostruzione e così via. Questi momenti potrebbero anche essere studiati attraverso la storia della loro rievocazione museale, fatta di oggetti, dipinti, documenti.

QUEST’ULTIMA è la strada seguita da Massimo Baioni nel suo ultimo libro, il quale si incarica di ricostruire le vicende dei maggiori musei storici che dagli ultimi decenni dell’Ottocento agli anni Sessanta del secolo scorso hanno raccontato al pubblico le sorti dell’Italia unita (Vedere per credere. Il racconto museale dell’Italia unita, Viella, pp. 266, euro 24). Baioni si interroga soprattutto sul ruolo che gli allestimenti museali ebbero, attraverso la strutturazione simbolica degli spazi espositivi, nel costruire l’identità nazionale italiana, ossia definire i contorni di quella che Benedict Anderson, in uno studio classico del 1983, ha definito la «comunità immaginata». Ponendo al centro della sua attenzione i musei intitolati al Risorgimento, Baioni ricostruisce in particolare le «politiche della memoria» del periodo liberale, fascista e repubblicano, scegliendo di giungere fino al periodo delle grandi contestazioni della fine degli anni Sessanta, quando i miti risorgimentali e il patriottismo conobbero una prima importante crisi.

SECONDO LA SUGGESTIVA definizione che ne dà l’autore, un museo storico è «un dispositivo nei cui spazi prende forma una tipologia particolare di costruzione, trasmissione e uso pubblico del passato, a contatto con domande sociali di storia che mutano nei diversi momenti e contesti». Partendo da questa premessa, il volume racconta la storia dei musei esplorando a fondo il coinvolgimento delle istituzioni, il ruolo dei direttori, i linguaggi e le tipologie degli allestimenti, le controversie politiche nate dalle scelte museali. Ne risulta una particolare storia dell’Italia contemporanea costruita intorno all’evoluzione del racconto museale, la quale permette, da un lato, di studiare da una diversa prospettiva il grande tema del nation building, dall’altro di riconsiderare anche alcuni dei momenti decisivi della trasformazione politica, sociale ed economica del Paese.

Come mostra Baioni, dopo la fase più movimentata dell’unificazione italiana il racconto museale cominciò a configurarsi come una parte essenziale di quella pedagogia nazionalista e di quel processo di omogeneizzazione del Paese che furono all’origine dell’identità italiana, sia pure incerta e mutevole nel tempo. Strumenti complementari di quest’opera pedagogica furono anche quelli che Pierre Nora ha definito i «luoghi della memoria»: i monumenti celebrativi, le lapidi, le targhe, gli edifici nati per commemorare particolari eventi dell’epopea risorgimentale. Collocando i musei e i loro archivi nel contesto dei rispettivi spazi urbani e geografici, e mettendoli in relazione con altri strumenti di costruzione dell’identità collettiva, Baioni riesce molto bene a valorizzarli come fonti non soltanto per l’analisi politica e culturale, ma anche per lo studio della storia sociale e di quella urbana.

Leggendo il volume emerge con chiarezza come oggi siano cambiate le forme espressive dei musei storici, e anche le modalità di comunicazione nelle occasioni celebrative. Si prendendo come esempi gli anniversari dell’Unità d’Italia: se le ricorrenze del 1911 e del 1961 avevano ruotato attorno alla celebrazione dei fasti del progresso, dell’industria e del lavoro (si pensi al caso emblematico della capitale sabauda, la quale aveva ospitato prima l’Esposizione del 1911 e poi, cinquant’anni più tardi, l’avveniristico progetto di «Italia ‘61»), il centocinquantenario del 2011, caduto nel bel mezzo di una crisi economica e sociale che è andata ben oltre i confini dell’Italia, è stato segnato al contrario da allestimenti museali meno assertivi e da iniziative meno vistose, che hanno mostrato meno indulgenza verso la retorica e più attenzione sia ai risultati delle più recenti riflessioni storiografiche sia al bisogno di costruire una cittadinanza repubblicana e democratica più matura.