Cosa può dirci di utile un antropologo sugli sfratti (e più in generale le politiche abitative) che caratterizzano negli ultimi anni le nostre città? La casa editrice Ledizioni, al fine di rispondere a questa domanda, ha appena pubblicato l’ultima opera dell’antropologo Giacomo Pozzi dal titolo Fuori casa. Antropologia degli sfratti a Milano (pp. 210, euro 24), selezionando il testo nella collana di «Antropologia della contemporaneità», diretta da Simone Ghezzi, Vincenzo Matera e Luca Rimoldi.

Sviluppato su cinque capitoli preceduti da una ricca introduzione con delle conclusioni che sollevano temi politici interessanti, Fuori casa offre un importante contributo scientifico all’analisi critica della complessa interazione tra forme di esclusione sociale, logiche del profitto urbano e politiche abitative. Pozzi concentra il suo sguardo sul fenomeno degli sfratti e sulla sua articolazione nella città di Milano ponendo al centro del suo lavoro una specifica categoria di soggetti: i senza casa.

OSSERVANDO e partecipando alle pratiche di vita quotidiane di questi abitanti della città, l’autore riesce a sottrarre il concetto stesso di cittadinanza alla sua astrattezza per analizzarlo come spazio vissuto e processo dialogico attraverso la considerazione delle dinamiche di inclusione ed esclusione inscritte nelle vite dei protagonisti della sua (lunga) ricerca e nei luoghi, più o meno istituzionali, in cui i diritti vengono negoziati, realizzati o negati. In questo senso, l’esecuzione del rilascio forzoso dell’alloggio viene considerata nel volume non semplicemente come pratica amministrativa e neppure come l’esito inevitabile di percorsi biografici afferenti a una «vaga cultura della povertà» che caratterizzerebbe alcune classi sociali.

I PROCESSI DI SFRATTO vengono invece letti da Pozzi come cause principali di emergenza della povertà all’interno di dinamiche globali che vedono l’urbano come luogo privilegiato di riproduzione del capitale basate sull’abbandono e sull’espulsione di una fascia sempre più ampia di indigenti. Di conseguenza (e questo è il pregio maggiore dell’opera di Pozzi), il libro si rivolge non solo alla comunità scientifica, ma anche a tutti quegli attori istituzionali e sociali che operano nel settore delle politiche abitative, più in generale, delle politiche pubbliche.
«Quasi cento famiglie ogni giorno, inclusi i festivi, finiscono in strada con l’intervento di forza pubblica. Come se dieci palazzine da dieci appartamenti ciascuna fossero sgomberate ogni giorno». Con queste parole, scrive Pozzi, il segretario nazionale dell’Unione Inquilini ha commentato nel luglio 2019 gli ultimi dati resi disponibili dal Ministero dell’Interno in merito all’esecuzione di procedure di sfratto sul territorio italiano: «nonostante questi numeri, la dimensione sociale del fenomeno rimane ampiamente invisibile».
Nella città di Milano (e provincia) nel 2018 sono stati eseguiti 2.845 sfratti: un aumento del 593,9% rispetto all’anno precedente. A fronte di questi numeri, Pozzi problematizza la bontà del cosiddetto «Nuovo Modello Milano», che sembra aver monopolizzato le narrazioni sulla città prima dell’arrivo del virus pandemico.

NEL NOVEMBRE 2019, commenta Pozzi, il sindaco di Milano Beppe Sala dichiarava: «Arriveranno tredici miliardi di investimenti immobiliari nei prossimi dieci anni». In poco tempo Milano è così diventata la miniera d’oro del real estate: «più investimenti arrivano e più sfratti avvengono, più lavoratori migrano e più i prezzi delle abitazioni salgono, più le piattaforme digitali agiscono in forma incontrollata e più è difficile trovare casa, più mutui senza tutele vengono concessi e più pignoramenti vengono posti in essere: una città neoliberale più ricca è una città necessariamente più escludente», scrive Pozzi.
Cosa significa perdere una casa? Così l’autore risponde a questa domanda: «la disgregazione del nucleo famigliare, il declassamento sociale, l’interruzione di una progettualità di vita, la perdita di affetti, l’inserimento in circuiti assistenziali, l’emergere di stress emotivo e psicologico».

Eppure, il valore di questo lavoro è proprio quello di riuscire a evitare di farsi imprigionare in una logica dicotomica che identifica persecutori e vittime, mostrandoci i diversi punti di vista dei protagonisti e, di conseguenza, la complessità che caratterizza gli attuali processi di produzione della marginalità urbana contemporanea: sfrattati (in primis), ma anche delegati sindacali, istituzioni formali e informali, ufficiali giudiziari e forze dell’ordine.