Sembra che il Governo voglia affrontare la questione del rinnovo dei vertici della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp). In linea di principio potrebbe essere una posizione corretta, in pratica non solo è tutto da vedere, ma le questioni preliminari da chiarire sono fondamentali. Su questo aspetto ha ragione Francesco Giavazzi quando richiama l’attenzione sul cambiamento ai vertici della Cdp, ma non quando si arrampica sugli specchi per dimostrare la preminenza del privato in materia di sviluppo tecnologico, cercando di confutare le dimostrazioni storiche ricordate dalla Mariana Mazzucato (richiamata ma, guarda caso, senza citarne il nome), che è uno dei punti di maggiore sofferenza del nostro sistema produttivo.

Non si può dimenticare che le politiche industriali in tutti questi ultimi decenni hanno definito e determinato la crisi nella crisi dell’Italia, con effetti sociali, competitivi, occupazionali e ormai anche culturali ed etici, la cui negatività è sotto gli occhi di tutti. L’attuale governo ha affidato agli stessi attori privati la responsabilità dello sviluppo, ma i limiti e la qualità degli investimenti da parte del nostro sistema industriale, la sua crisi competitiva, richiedono un cambiamento di 180 gradi della nuova politica economica e industriale. Affidare le risorse della Cdp ai privati significa prendere la direzione opposta di quello che servirebbe al Paese, pre-annunciando un suicidio sociale. I precedenti di questo governo non sono, per la verità, tali da consentire delle speranze, anche se i recenti segnali provenienti dal paese potrebbero costringerlo ad una riflessione autocritica.

Resta comunque la necessità della sinistra e dell’opposizione di trattare coerentemente la questione dei vertici della Cassa come una occasione per lanciare una sfida progettuale, proponendo non solo valori diversi da quelli espressi dai Giavazzi & Co, ma anche una serie di proposte coerenti. Nel caso specifico della Cdp occorre indicare una linea d’investimenti giocata su due fronti: il primo per accelerare al massimo gli aspetti occupazionali (infrastrutture, scuole, manutenzione del territorio, ecc); il secondo, certamente più complesso e con effetti economici meno immediati, ma strutturalmente essenziale, orientato a modificare il nostro sistema produttivo piegato su una competitività di costi, per passare ad una competitività di qualità. Su questo fronte occorre avviare una discussione seria, prendendo atto che il nostro sistema produttivo, con le solite eccezioni, non dispone né della cultura, né degli strumenti per attuare queste trasformazioni .

Servirebbero strumenti conoscitivi nuovi pere invertire la politica economica (negativa) adottata nei confronti delle strutture di ricerca pubblica, con un ricambio di classe dirigente per coniugare le potenzialità dell’innovazione con la domanda di uno sviluppo sostenibile. In questo scenario è evidente cosa potrebbe essere il nuovo ruolo della Cdp. La sinistra dovrebbe lanciare una sfida molto concreta al Governo e a tutte le forze politiche, sindacali e culturali del paese.