Dee Dee Bridgewater torna a vivere negli Stati uniti dopo una lunga permanenza parigina. Incide un nuovo disco Dee Dee’s Feathers per la prestigiosa etichetta Okeh (2015) affidandosi alla guida del produttore Irvin Mayfield – direttore della New Orleans Jazz Orchestra e del New Orleans Jazz Institute – , un percorso stilistico e compositivo che questa volta approda a New Orleans.

L’artista americana nata a Memphis, sceglie di interpretare brani come Saint James Infirmary, canzone che meglio di qualsiasi altro standard, mostra le troppo spesso dimenticate radici popolari del jazz che risiedono il più delle volte nel forte legame tra le ballate inglesi e la musica del sud degli Stati uniti (difatti le origini di Saint James Infirmary vengono fatte risalire a The Unfortunate Rake e altre ballate simili nate in Inghilterra).

Le radici afro-americane continuano ad essere celebrate, nel filo conduttore dall’anima «bluesy» dell’ultimo progetto Dee Dee’s Feathers, non soltanto per la scelta interpretativa di alcuni classici del repertorio tradizionale (Big Chief, Do you know what it means, Come Sunday), ma anche per la presenza della big band che interpreta arrangiamenti vicini all’approccio compositivo delineato da Oliver Nelson. Accordi un po’ dissonanti, un gusto molto netto per i ritmi composti in contrappunto con la duttilità timbrica generosa e lontana, per scelta stilistica della Bridgewater, da inutili virtuosismi. «Musicista-cantante», come lei stessa ama definirsi, dirige anche con grande disinvoltura la «Forma Jazz Orchestra» capitanata dal sassofonista Gaetano Partipilo durante la sua recente performance live al teatro Forma di Bari.

La voce della Bridgewater oscilla senza contrasti dalla più leggera delle sonorità esposta con dolcezza all’esclamazione potente, riuscendo a convincere senza dubbio alcuno quando improvvisa con uno «scat» carico di fantasia improvvisativa o diventa urlatrice di blues, rinnovando così i classici proposti durante il set live (Fine and mellow, Mr. Paganini, Lady sings the blues, per citarne alcuni).

Il concerto è pensato, quindi, come un omaggio alla storia musicale afro-americana. Cultura nata da immigrati francesi, spagnoli, italiani, olandesi, greci e irlandesi, di schiavi neri scappati dalle piantagioni o resi liberi, il più formidabile miscuglio musicale della storia di New Orleans, città situata sul delta del Mississipi e considerata come luogo di nascita del jazz.