Marianne è una scrittrice, per il suo nuovo libro-inchiesta ha deciso di dare voce «agli invisibili», coloro cioè che vivono quotidianamente la nuova economia sociale di precariato, sfruttamento, umiliazione. Che sono costretti a accettare lavori sottopagati, tipo pulire i bagni pubblici, a 7 euro l’ora e in tempi velocissimi pena il licenziamento immediato, che devono fare i conti su ogni cosa, il cibo, le bollette, rinunciando ai vestiti, a qualsiasi piacere, anche un minuto per sé stessi è un lusso, specie se ci sono dei figli piccoli da mantenere a cui non vogliono far scontare le incertezze. Come fare a capirli, a dargli una voce, a renderli esperienza di vissuto e non solo statistiche o numeri di un dibattito pubblico? Marianne decide di cambiare identità, diviene una donna sola, disoccupata con una laurea ma senza esperienza lavorativa visto che il marito, che l’ha lasciata all’improvviso, le ha sempre permesso una vita di agi. Si sposta a Caen, nel nord della Francia, e inizia la trafila delle agenzie interinali per un posto come donna delle pulizie.

Ouistreham, ritorno al cinema da regista di Emmanuel Carrère, ha aperto ieri la Quinzaine des Réalisateurs, la sezione indipendente curata da Paolo Moretti nella quale seppure a pochi metri di distanza dal Palais si respira un’aria del tutto diversa, di cura e attenzione per il cinema e per il lavoro di chi vi partecipa che permette, ad esempio, di dedicare con passione un lungo pomeriggio a Fred Wiseman, Carrosse d’or dell’anno, in conversazione con Claire Simon, regista di confine che nelle sue immagini tra documentario e finzione sa cogliere sempre il senso molteplice della realtà e del suo tempo.

UN PO’ LA SCOMMESSA di Ouistreham, che in Italia sarà distribuito da Teodora, tratto dal libro di Florence Aubenas, Le quai de Ouistreham (L’Olivier, 2010) – già portato a teatro nel 2018 da Louise Vignaud – giornalista molti anni a «Liberation», ora a «Le Monde» – venne rapita e detenuta in Iraq per molti mesi nel 2005 – che per scriverlo si è «infiltrata» sei mesi tra le donne delle pulizie lavorando un po’ ovunque, ma soprattutto sul traghetto che collega la Francia alla Gran Bretagna dal porto di Ouistreham a Portsmouth, documentando le condizioni di lavoro a cui le lavoratrici e i lavoratori sono sottoposti: 230 cabine da pulire per 4 minuti ciascuna, modello catena di montaggio senza diritto alla pausa, 60 letti da rifare in un’ora e mezzo – «Meglio pulire gli spazi pubblici si fa meno fatica anche se sono più disgustosi» dirà a un certo punto il personaggio di Marianne – la Brittany Ferries citata per le condizioni a cui sottopone il proprio personale ha rifiutato i permessi per girare a bordo dei suoi traghetti.

NELLA NOTTE di nebbia fredda della Normandia i lavoratori si aggirano come ombre, incrociano altre ombre, quelle dei migranti, che fuggono prima del giorno i poliziotti per non farsi portare via coperte e scarpe, mentre loro passano da un lavoro massacrante (e precario) all’altro per riuscire a mettere insieme un salario. Carrère nel suo adattamento – scritto insieme a Hélène Devynch – sposta però l’asse della narrazione dalla testimonianza documentale a una riflessione che investe soprattutto il ruolo dello scrittore (e della scrittura) e il sentimento del tradimento – un po’ come avviene nel suo libro L’avversario, pur senza perdere di vista la necessità all’origine del lavoro di Aubenas di raccontare le vite comuni di moltissime persone oggi, ma anzi rendendone più evidenti i conflitti proprio grazie a questa nuova prospettiva. Il sé e l’altro, il proprio «narcisismo» d’artista e la realtà, un terreno accordato alla sua poetica che interroga al tempo stesso un incontro mancato, o che forse non può esistere al di là dell’esigenza narrativa.

COSA SIGNIFICA condividere la fatica e la durezza sapendo che comunque si è da un’altra parte, che si appartiene a un altro mondo, che la propria esistenza non è lontana da questa fragilità? Come si sentiranno gli altri quando lo scopriranno, presi in giro? Offesi? Traditi? Quale è la responsabilità di chi si pone in questa relazione?

A MARIANNE – una magnifica Juliette Binoche, bravissima senza trucco, pura energia sullo schermo – mette di fronte quasi come un doppio, o uno specchio, la figura di Christelle – incarnata da Hélène Lambert, attrice non professionista anche lei straordinaria: tre figli piccoli che cresce da sola, rabbia e tenacia, tiene testa alla durezza della vita. Diventano amiche, dividono la sigaretta, il caffé, il tragitto verso il lavoro: «Quanto guadagni tu? Cosa ti importa di questo quando tornerai a casa?» È la domanda che le fa con dolore e frustrazione quando scopre per caso tutto. All’improvviso Marianne, «una di loro» che hanno accolto e aiutato è un’estranea, appartiene a un’altro pezzo di società – a un’altra classe si sarebbe detto un tempo; è qualcuno che li ha usati, manipolati persino seppure con un obiettivo a fin di bene. Chi dunque è all’improvviso questa donna divenuta estranea alla piccola comunità?
Aubenas non voleva portare al cinema il suo libro, a convincerla è stata proprio Binoche, alla quale la scrittrice ha chiesto di contattare Carrère, che segue i suoi passi, ritrovando i luoghi e alcune figure delle sue pagine, come Evelyn Boree, figura storica di quel mondo lavorativo – che interpreta il personaggio di Nadege, la responsabile dei pulitori del traghetto. Ma appunto alla storia dei lavoratori «contrappone» quella della protagonista, la sua «distanza»: uno spazio in cui rimangono aperte le domande e la realtà deflagra con prepotenza.