La copertina si colora di un’immagine suggestiva: il disegno di un uomo che nuota sulla superficie di acque limpide, mentre sotto di lui avanza uno squalo enorme fatto di rifiuti di plastica. Si vede solo il muso a punta del pericoloso animale stilizzato, come a significare che quanto vediamo, della plastica sparsa nell’acqua e sulla terra, è solo la punta dell’iceberg. Infatti, per quanto possiamo essere sensibili al problema e attenti al tema, non saremo mai abbastanza consapevoli della quantità gigantesca di rifiuti di plastica dispersi in ogni angolo del nostro pianeta. Anche nei luoghi che ci sembrano più puliti. Quindi non c’è niente da fare? Niente affatto. Franco Borgogno è un giornalista, fotografo e guida naturalistica che è andato alla ricerca delle tante risposte alla domanda «Che cosa posso fare» per affrontare un problema così vasto. Quello che ha trovato sono una quantità di storie che ci mostrano il potenziale che tutti abbiamo a disposizione per combattere l’inquinamento da plastica. Le ha raccolte nel libro La soluzione siamo noi (Ed. Nutrimenti, 2020), dove mostra tutti i modi e i settori in cui ci si può impegnare per fornire non la soluzione ma le soluzioni al problema dell’ inquinamento da plastica: non solo essendo degli addetti ai lavori nella scienza o nella politica, ma anche nella comunicazione e divulgazione, oppure occupandosi di arte, facendo sport o impresa.

LE ESPERIENZE RACCONTATE sono soprattutto quelle prese da persone giovani e giovanissime, ma ci dicono anche che ognuno può essere parte della soluzione, indipendentemente dall’età, dalla provenienza, dall’estrazione sociale, dall’orientamento professionale e di studi. È sufficiente avere passione e volontà. Spesso sono storie con un inizio molto semplice, come quella di Erin Rohads, una blogger australiana che fatto della sua decisione di ridurre progressivamente la plastica dalla sua vita, un fatto pubblico: iniziando a eliminare la plastica monouso ha capito che era possibile affrontare la sfida di una vita senza ( o quasi) plastica: ha scritto libri, partecipato a conferenze, accompagnato l’avvio di gruppi di azione per l’ambiente sostenibile, socializzando la sua esperienza fatta di piccoli passi accessibili a tutti, che le sono costati poco sforzo e arrecato grandi vantaggi al suo benessere psicofisico. Altre storie sono quelle di un profondissimo e lungo impegno sul fronte tecnico, che apporta informazioni preziosissime per comprendere e possibilmente prevenire le caratteristiche e i meccanismi di questo problema: come quella del biologo Giuseppe Suaria, che ha coniato il termine «zuppa di plastica del mediterraneo», cominciando a parlare nel 2016 dell’impressionante quantità di micro polimeri plastici che aveva rinvenuto nelle acque di cui doveva invece studiare il plancton. Altro importantissimo e nuovissimo fronte sul tema della plastica nelle acque a cui Giuseppe Suaria e molti altri scienziati hanno partecipato è quello delle microfibre tessili: individuate durante una missione di circumnavigazione dell’antartico, sono state descritte in uno studio, pubblicato nel giugno 2020, che ha analizzato 916 campioni di acqua di mare, raccolti in 617 località in sei bacini oceanici (non solo l’Antartide, quindi) per un totale di 13.447,5 litri di acqua di mare filtrata; le fibre sono state trovate nel 99,7 per cento di tutti i campioni, per un totale di 23.593 fibre. Oltre all’abbondanza di queste fibre, dovuta all’aumento della produzione di tessuti e agli scarichi dei lavaggi, ha colpito molto il fatto che di tutte queste fibre, solo l’8% fossero sintetiche: la maggior parte risultavano polimeri naturali, lana e cellulosa, che per qualche motivo non si erano degradate. Magari per l’uso degli additivi e delle altre sostanze utilizzate nei processi produttivi delle fibre tessili.

IL TEMA DEI TEMPI DI BIODEGRADAZIONE è stato al centro dell’impegno di un altro espertissimo di plastiche: Eligio Martini, un ingegnere chimico. E’ anche un imprenditore che ha investito su nuove tecnologie per ottenere materiali realmente biodegradabili in tempi brevi; quello che si scopre infatti leggendo la sua storia, fatta di anni di studio, ricerca ed applicazione, è che un tipo di bioplastica usato in Italia, il Pla (acido polilattico) pur essendo di origine vegetale, ha dei temi di degradazione così lunghi da farlo assomigliare a una plastica sintetica. Nelle sue peregrinazioni per il mondo alla ricerca delle bioplastiche più velocemente biodegradabili, in Giappone ha scoperto il Pha, un poliestere termoplastico sintetizzato dai batteri e che sempre dai batteri viene degradato, ed in tempi brevissimi. Esistono diverse pubblicazioni scientifiche che confermano questa caratteristica, ed ora il Pha è alla base del biopolimero prodotto dall’azienda di Eligio Martini, che continua a fare ricerca per migliorare un materiale che ha ancora molti limiti (è ancora fragile e piuttosto costoso) ma anche un potenziale enorme, come quello di sostituire le fibre dell’abbigliamento sintetico.

DA PAESI CHE SONO STATI LETTERALMENTE sommersi dalla plastica altrui , con conseguenze ambientali e sanitarie disastrose, come il Kenia e l’Egitto, arrivano altri esempi di imprenditoria nel settore della plastica con un approccio virtuoso e sostenibile, portato avanti da sole donne: Lorna Rutto, nata in una baraccopoli di Nairobi, ha creato Eco post , un ‘azienda che ricicla la plastica di scarto industriale per le recinzioni e la segnaletica stradale, sostituendo il legno ed ottenendo così un doppio vantaggio; Hend Riam e Mariam Hazem in Egitto invece hanno messo in piedi il Reform Studio, che produce oggettistica di lusso utilizzando un materiale appositamente sviluppato che si chiama Plastex, ottenuto tessendo scarti di sacchetti di plastica riciclati: a metà 2020, la loro attività ha permesso di recuperare 961.421 sacchetti di plastica ed ha coinvolto decine di donne egiziane in difficoltà. Un’altra donna, Francesca Santoro, ha dedicato la sua vita a diffondere la Ocean literacy , un concetto che approfondisce l’influenza positiva del mare sull’umanità; tramite un’attività di co-creazione artistica , in meno di due anni ha attirato un pubblico di 5,5 milioni di visitatori fisici e 1,7 milioni di visitatori online provenienti da settanta paesi e sei continenti.
Ci sono molte altre storie ed è importante andare a vedere come sono nate, per capire e come sono iniziate delle imprese e convincersi che per quanto eccezionali, queste ed altre non sono irrealizzabili.