Da sempre l’hip hop (dal più militante a quello da classifica) convive con la storia politica della comunità da cui è scaturito. Icone come Malcolm X, Huey Newton, Martin Luther King, Rosa Parks e molte altre per anni hanno vagato di brano in brano trasformando i pezzi in un veicolo di consapevolezza etnica e culturale. Ora qualcosa si sta incrinando. Grandi polemiche ha suscitato di recente una rapper come Nicki Minaj che su Instagram ha postato la storica immagine di Malcolm X che, arma in pugno, controlla dalla finestra se il nemico è alle porte. Erano giorni di minacce con il leader nero sotto sorveglianza da parte degli agenti federali. In occasione dell’uscita del singolo Lookin Ass Nigga (neri che guardano il sedere delle ragazze), la rapper ha sovraimposto alla foto il titolo del pezzo. Anatema. Da un lato le scuse ufficiali di Nicki Minaj che ha subito rimosso l’immagine, dall’altro un attacco vario e variegato proveniente dalla comunità nera. La rapper si è difesa rilevando come il pezzo se la prenda con quei neri che la guardano ancheggiare trasformandola in mero oggetto sessuale. Tutti «nigga» (la parola più detestata in ambito afro-americano viene ripetuta per 42 volte nel pezzo) da abbattere. E non a caso la ragazza compare con le stesse armi di Malcolm X e fa fuoco sul maschio. Secondo riviste come Spin si è trattato di un atto di profondo femminismo; se anche fosse l’iconografia altamente ed esplicitamente sessualizzata finisce per reiterare lo stereotipo. Il video di Minaj, infatti, non si discosta dalla sequela di clip ipersessualizzati a cui il rap ha abituato negli ultimi anni. Subito si sono attivate organizzazioni come change.org.

In particolare Kevin Powell ha esortato anche la casa discografica Universal a «stop disrespecting Malcolm X, black history and black people». Gli fa eco il reverendo Charles E. Williams II, pastore della Historic King Solomon Baptist Church. In particolare la chiesa è quella in cui Malcolm X pronunciò i noti discorsi «Message to the Grassroots» e «Ballot or the Bullet in Detroit».

Spiega il reverendo: «Come osi Nicki Minaj, o qualunque sia il tuo nome. Perché sappiamo che quello non è il tuo vero nome, perché tu non sei vera. Penso che Malcolm direbbe che ti stai comportando come il burattino del padrone schiavista e dico schiavista perché lasci che loro ti facciano tutto. Hai rispetto per te stessa? Sembra di no. Ami te stessa? Sembra di no. Perché se così fosse non lasceresti mai che un grafico dell’industria musicale possa utilizzare quell’immagine. Quella copertina sollecita una domanda: perché appoggiare una musica che trascura il mio passato e continua ad utilizzare testi misogini umilianti e ora anche modificazioni fotografiche dei nostri eroi afroamericani. Se trovavo orribili i volantini ispirati a Martin Luther King Jr. (con la faccia del leader nero che pubblicizza eventi dance) qui davvero è un altro schiaffo in faccia. Chi sarà il prossimo: Frederick Douglas (ex schiavo e leader abolizionista dell’Ottocento) o Harriet Tubman (ex schiava nota per aver liberato centinaia di neri grazie ai percorsi segreti della Underground Railway, la ferrovia sotterranea)? Gli risponde Minaj: «Chiedo scusa, quella non è mai stata la grafica ufficiale né quello è mai stato un singolo ufficiale. Ci sono io nel video che sparo ai Lookin Ass Nigga ed è capitata questa foto di Malcolm X che fa la stessa cosa per difendere quello in cui credeva. Mi scuso con la fondazione Malcolm X se si è sentita offesa per la foto. La parola ‘nigga’ continua a suscitare ampi dibattiti nella comunità mentre il comportamento del nigga viene apprezzato e lodato. Smettiamola. Di nuovo offro le mie scuse alla famiglia di Malcom X. Per voi ho solo rispetto e adorazione. Ma foto è stata rimossa ore fa. Grazie».

Di sicuro Malcolm X avrebbe aborrito l’aspetto iconografico di Minaj e non avrebbe accettato scuse. Va, infatti, notato che la sua autobiografia è stata spesso accusata di celebrare una mascolinità che minimizza il ruolo della donna in ambito nero. Secondo il leader: «…Guarda le donne in America, giovani e anziane. Ben pochi valori morali gli sono rimasti. Lo vedi da come si vestono e da come si acconciano. I loro valori spirituali sono stati quasi distrutti dall’attenzione riposta nei beni materiali». Parole perentorie, ovviamente non condivisibili, sollecitate negli anni Sessanta (periodo in cui schiavismo e segregazione erano termini e concetti all’ordine del giorno) da una particolare condizione sociale, culturale e psicologica. Per Malcolm X il maschio nero doveva recuperare un ruolo guida volutamente azzerato negli anni della schiavitù dal padrone bianco che di proposito smembrava, stuprava e indeboliva le famiglie. Mentre ai maschi era riservato il lavoro nei campi, alla donna (le anziane soprattutto) era demandato il compito di crescere i piccoli. Questo ha rafforzato il ruolo guida della figura femminile in ambito nero anche facilitato dalla maggiore possibilità di reperimento del lavoro e dunque dei mezzi di sussistenza. Non a caso tanti film tratteggiano – anche in maniera stereotipata – forti figure femminili e padri/mariti assenti. Addirittura secondo Malcolm X «il nero non può permettersi di essere omosessuale». Altri tempi, altre storie, altri mondi. Forse. O quantomeno rimossi, al punto che lo scorso anno il rapper Lil Wayne ha paragonato le sue imprese erotiche agli eventi che riguardarono anni fa Emmett Till, martire della furia razzista negli Usa. Lo fa in Karate Chop, brano scritto per l’hip hopper Future. Nel remix del pezzo un verso di Wayne dice: «Dagliele a quella fighetta come Emmett Till». Questi fu massacrato di botte e ucciso con un colpo alla testa nel 1955. Aveva 14 anni e si disse che flirtasse con una donna bianca. Il marito di lei e il fratellastro della signora fecero fuori il ragazzo. Anche in questo caso sono seguite le scuse. Recitano: «Ho un tremendo rispetto per coloro che, aprendo la strada, consentono oggi agli afroamericani di godere di quelle libertà e opportunità di cui oggi godono. In quanto padre non riesco ad immaginare il dolore che la vostra famiglia ha dovuto sopportare. Lo riconosco, così come prendo atto della lettera che mi avete mandato tramite i vostri avvocati. Essendo un imprenditore e finanziatore di organizzazioni che aiutano i ragazzi a inseguire i propri sogni, è mio preciso compito nobilitare la nostra comunità e non degradarla». Fa sorridere come concetti così condivisibili seguano sempre a testi così irresponsabili, creati con il preciso scopo di aggredire verbalmente chi ascolta; in sostanza conta la rima e non quello che la sollecita. Tendenza tanto più inquietante se si pensa che proprio in ambito rap le parole pesano più che in altri generi. Ancora più grossa l’ha combinata Russell Simmons, fondatore con Rick Rubin, della Def Jam, etichetta al cuore dell’hip hop da cui sono partiti, tra gli altri, LL Cool J, Beastie Boys, Public Enemy. Simmons dirige anche un canale comico su YouTube, l’All Def Digital all’interno del quale ha trasmesso un video in cui un’attrice che interpreta Harriet Tubman è intenta a registrare un sex tape per incastrare e ricattare il padrone bianco. Senza parole. Anche lui si è scusato. «Sono sinceramente dispiaciuto», ha dichiarato. Secondo Jermaine Hall, capo redattore di Vibe, la rivista hip hop, «non voglio dire che i rapper di oggi non conoscano la storia afroamericana, di sicuro rispetto alle generazioni precedenti ne sono meno consapevoli. In passato ci si è dovuti confrontare con il razzismo degli anni Settanta o il crack degli anni Ottanta, oggi ci si sta sempre più allontanando dalle istanze del movimento per i diritti civili». Secondo il rapper Jasiri X c’è anche una profonda contraddizione. Molti artisti si appropriano delle icone rivoluzionarie del passato per veicolare immagini anti-establishment. «Peccato – ricorda l’artista – che sia la stessa industria discografica a supportarle e sdoganarle e peccato che i principi per i quali quei rivoluzionari hanno dato la vita vengano sistematicamente ignorati».

Negli anni Settanta/Ottanta Malcolm X era considerato un’icona sacra, frammenti dei suoi discorsi venivano diluiti dai dj dal vivo e in tanti dischi (No Sell Out del batterista bianco Keith Le Blanc è un classico).

Fondamentale nel 1988 la copertina di By All Means Necessary dei Boogie Down Productions che – con tutti altri intenti – sfoggiava l’immagine utilizzata da Minaj. Nel 1991 Tupac rimava: «Nel mio libro di storia non c’è Malcolm X, perché?/Perché ha cercato di istruire e liberare tutti i neri». Anche Tubman è un classico dell’hip hop, omaggiata da Ice Cube, e così Till menzionato in Through the Wire di Kanye West. Oggi si cambia e secondo Paradise Gray degli X Clan, storico gruppo afrocentrico anni Ottanta: «Il rap da classifica ha perso il rispetto per tutto ad eccezione del denaro. Oggi i rapper minacciano di uccidere chi li offende ma poi si siedono e lasciano che la nostra cultura e la nostra storia vengano umiliate. Quanto ci costerà tutto questo?».