Mentre circolano numeri piuttosto preoccupanti sulle condizioni debitorie del Teatro dell’Opera di Roma, si avviano a conclusione le recite del secondo titolo della stagione, il dittico composto da L’heure espagnole e L’enfant et les sortilèges di Ravel. L’allestimento delle due opere di Ravel, creato nel 2012 per il Festival di Glyndebourne da Laurent Pelly (ripresa da Paul Higgins ) è forse la migliore fra le proposte recenti del teatro della capitale.

Sul piano musicale il risultato è complessivamente positivo: il direttore svizzero Charles Dutoit, qui nel suo repertorio d’elezione e in buona sintonia con orchestra e coro, offre una lettura spigliata e piccante dell’Heure Espagnole, ma si rivela anche attentissimo al controllo di dinamiche e sfumature, esaltando così il tratto sottilmente erotico della partitura e la raffinata trama di citazioni, da quelle spagnoleggianti di Bizet alle sapide caricature del dramma wagneriano. Maggior impegno viene profuso da Dutoit e dall’orchestra nel restituire i tratti misteriosi e onirici del’Enfant et les sortileges, cesellati con un’attenzione particolarmente confacente alla struttura drammatica del libretto di Colette.

Ecco allora il perfetto concatenarsi dei singoli episodi che si sovrappongono fino all’improvviso ritorno del bambino alla realtà, dopo i fascinosi turbamenti vissuti attraverso l’avventura in un mondo onirico – financo traumatico – in cui alberi, animali, oggetti quotidiani si animano di intenzioni, volontà e parole. Lo spettacolo di Laurent Pelly non abbandona mai un certo garbato gusto decorativo (oggetti, carte da parati, colori, tessuti, pelli e piumaggi), felicemente dispiegato nella fantasiosa scena fissa dell’Heure espagnole, con le decine di orologi confusi nelle pareti della casa-laboratorio e poi vaporizzato in mille vivaci trovate dei tanti episodi dell’Enfant; tuttavia l’estrosità di scene e costumi (firmati dal regista gli ultimi, mentre le scene sono rispettivamente di Caroline Ginet per l’Heure espagnole e di Barbare de Limburg per L’Enfant et les sortilèges) non ostacola mai il racconto, né la misura e l’efficacia della recitazione. Perfetta la risposta del palcoscenico, su cui hanno brillato la sensuale Stéphanie d’Oustrac (Conception e poi Gatta e Scoiattolo) e gli ottimi Benjanin Hullet (Gonzalve), Andrea Concetti (Don Inigo e poi Albero e Poltrona), Jean-Luc Ballestra (baldanzoso Ramiro e poi Gatto e Orologio) e Francois Piolino (Torquemada e ancora Teiera, Vecchietto e Ranocchio).

Hanno ben figurato Khatouna Gadelia (Enfant), Hanna Hipp ( Mamma, Tazza e Libellula) e la svettante Kathleen Kim nel triplo impegno della Principessa, Fuoco e Usignolo. Ottime anche le voci bianche del teatro dell’Opera. Il pubblico, sempre entusiasta a fine spettacolo, è andato aumentando nelle recite ma è comunque rimasto sorprendentemente al di sotto delle attese. C’è la scusante del maltempo e delle condizioni di scandaloso disagio per automobilisti e fruitori di mezzi pubblici, ma si conferma sempre la tendenza poco confortante del pubblico romano a muoversi solo per titoli popolari e nomi altisonanti. Al di là delle pressanti questioni economiche contingenti, vitali per il presente del teatro, il lavoro per creare un nuovo pubblico per le stagioni e le generazioni del futuro è dunque uno dei compiti più delicati e urgenti che attendono il nuovo sovrintendente. Il 6 febbraio l’ultima recita.