Nove candidature agli Oscar, dove risulta tra i superfavoriti preceduto da trionfi ovunque (Golden Globe, Bafta ecc) il nuovo film di Alejandro Inarritu sembra seguire la stessa (fortunata) sorte del magnifico Gravity con cui condivide il luogo del «debutto», la Mostra del cinema di Venezia che lo ha scelto, come il film di Alfonso Cuaròn per la serata inaugurale. Prendendo così anche una rivincita sul verdetto della giuria al Lido che lo ha assurdamente ignorato nel palmarès (la coppa Volpi a Michael Keaton ci stava tutta ed era comunque assai più calzante che quella a Adam Driver (Hungry Hearts). Per premiare il cinema italiano c’era il Leopardi di Martone che poi è stato anche un successo straordinario di botteghino).

 
Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? si chiede Raymond Carver, e di cosa parliamo quando parliamo di cinema forse ha pensato Riggan Thompson, stralunato Michael Keaton, quando ha deciso di portare in scena il testo dello scrittore a cui, nella sua personale mitologia deve tutto; è stato infatti un suo apprezzamento quando era solo un ragazzo a farlo continuare nella carriera d’attore. Thompson è una star planetaria, protagonista di blockbuster hollyowoodiani catastrofici e milionari, in particolare la serie Birdman, in cui veste i panni del protagonista, un uomo uccello (Birdman) con superpoteri a cui ha legato indissolubilmente il suo nome. Anzi di più, dalla cui tuta alata in nylon sembra essere stato risucchiato. Lui però vorrebbe essere apprezzato per le sue doti, vuole essere qualcos’altro: un attore, ad esempio, e non la celebrities da cui la gente corre per farsi la foto ricordo ma che i critici intellettuali considerano come un prodotto da spazzatura.

 
Così da Los Angeles vola a New York, a Broadway, si spoglia della maschera del superuccello per essere «se stesso»: un attore. Egocentrico, narcisista, una malcontrollata debolezza per l’alcol, un groviglio di nevrosi fuori controllo, e la figlia – Emma Stone – appena uscita dalla rehab che gli spiega come oggi si vinca solo stando sui social network mentre lui ostinato li rifiuta. Però la sua camminata in mutande per le strade di New York conquista ottantamila followers su Twitter in un attimo, e invece: quanti andranno vedere quella pièce che gli è costata la bancarotta?
La società dello spettacolo si mischia al ritratto d’attore: sono patetica, piange Naomi Watts dopo una scena col nuovo protagonista, l’amico cinico, star del teatro vezzeggiatissimo dai critici più esigenti a cui dà vita Edward Norton. No, sei solo un’attrice replica l’altro.

 

 

Perciò tradimenti, colpi bassi, capricci, fragilità. Che sbattono contro marketing, soldi, giornalisti che citano Barthes e altri che pensano che sia il protagonista di una nuova serie, potenti (e acide) critiche del New York Times dalla cui penna dipende il tuo destino. Eppure Birdman non è Hollywood contro New York, celebrities contro attori, commerciale contro autoriale in quell’opposizione alto/basso culturale così riduttiva che oggi, in era di un neoconservatorismo del pensiero sembra tornata a formattare il giudizio – non è casuale forse la tenedenza di fare film sul sistema del’immaginario, pensiamo allo spiazzante Maps to the Stars di Cronenberg. Almeno quando si tratta di decidere cosa è popolare e cosa no, cosa è giusto per il pubblico e cosa no.

 
Anche se questo c’è, ovviamente, e anzi il regista messicano si diverte a giocare con i «luoghi» dello spettacolo americano, il mercato delle grosse produzioni o i prodotti snob della scena teatrale – l’uno e l’altro illuminati con ironia molto divertente passando dai giovani attori come Fassbender, tutti impegnati in serie alla Avengers, alla critica teatrale capace solo di etichette. E con gli specchi in cui riflette (e moltiplica) l’immagine dei protagonisti, a cominciare da Keaton, per anni Batman, fino alla Mulholland Drive lynchana di Naomi Watts, o a Emma Stone, fidanzata di Spider Man, intorno ai quali costruisce una precisa trama di rimandi, anche se dei suoi film questo è il meno barocco nelle sue oscillazioni tra realtà e fantastico.

 
Proprio i tocchi surreali, quella voce che Thompson sente, la sua vocetta interiore, la voce di Birdman che glielo ripete di lasciar perdere, di tornare alla «buona vecchia pornografia apocalittica di sangue e adrenalina», e coi superpoteri che gli sono rimasti volare sulla città, tra i grattacieli, come un uccello, ci portano al cuore commuovente e profondo di questo «ritratto d’attore». Che è profondamente carveriano, e con la commedia dell’ambiziose di Thompson/Keaton condivide la stessa implorazione che il personaggio del dramma grida al mondo sul palcoscenico, volevo solo essere amato.

 

 

Ecco,Birdman è Carver – che non dimentica l’Altman di America oggi – dentro e fuori la scena, proprio come dentro e fuori lo schermo si muove Iñárritu mostrandoci tutto, l’essenza stessa della commedia come se stesse accadendo in quel momento. E tutto è «vero» perché meticolosamente messo in scena. Qui, su questo bordo scorrono la malinconia e la dolcezza della vita, l’eterna domanda del nostro stare al mondo,che attraversa i film del regista, quell’impossibile desiderio di essere qualcos’altro e la necessità di fare finta di nulla, sia essa distrazione o spregiudicatezza.