Dalla crisi del 2008, crisi dalla quale in verità ancora si fatica ad uscire, una serie di riflessioni sono scaturite attorno ad un concetto molto ampio e a tratti confuso che va dalla decrescita alla frugalità.
Discorsi che spesso si affiancano ad una visione globale della vita che tentano a vari livelli di rilanciare un rapporto più solidale con il circostante, con la comunità di appartenenza e con l’ambiente naturale. Teorie economico-culturali che provano a riportare in sostanza l’uomo all’interno di una logica di senso biologica ed economica virtuosa non legata al ricattatorio e deprimente gancio di un consumismo totale.

Questo ambito culturale è divenuto col tempo sempre più vasto fino a contemplare argomenti e temi quasi di ogni tipo che spaziano dall’alimentazione all’arredamento, dalla moda ai viaggi. Un susseguirsi di guide, manuali con al seguito santoni, stregoni, presunti medici e personal trainer che al meglio distorcono e riducono in maniera irrimediabile quello che sarebbe un discorso fondamentale e attorno al quale ormai è decisivo definire quanto prima anche delle strategie politiche.

In tal senso, risulta utile soprattutto ad un ribaltamento concettuale dell’arte di non avere niente, il prezioso volume di Salvatore La Porta, Less is more (Il Saggiatore, pp.176, euro 16). Come del resto risponde Michel Poiccard alias László Kovács ossia Jean-Paul Belmondo a Patricia Franchini (l’indimenticabile Jean Seberg) in À bout de souffle di Godard: «Meglio il nulla perché il dolore è stupido». Ed in un certo senso questa frase sintetizza molto del brillante saggio di La Porta, perché proprio il nulla non va inteso come il vuoto o peggio ancora la mediocrità del meno: la decantata modestia come paradigma di dignitoso e borghese atteggiamento, ma invece il nulla come elemento totale e assoluto di liberazione.

Less is more ha il tocco magico dell’erudizione unità alla delicatezza di spirito, un saggio che in piena crisi di studi umanistici ribalta il tavolo e apparecchia uno spazio naturale e culturale innovativo.
Qui, come ricorda, La Porta nell’introduzione non si tratta di fare l’orto sul balcone o di ridurre drasticamente il proprio guardaroba, ma di restituire senso e forma al gesto della relazione e allo scambio evitando di confondere il premio con il dono, l’acquisto con lo spreco.

Ritrovare dunque la differenza utile ad abbattere il confine della presunta diversità, quella posticcia costruita con muri di merci inutili proprio perché caricate di un senso dell’inutile.
Le pagine di Less is more sono attraversate da Valery e da Proust, da Gramsci e da Jack London, da Kurt Cobain a Paul Gauguin (e non sarebbe stata una cattiva idea inserire un indice dei nomi), nomi che sono storie, luoghi e vite utili a ricordare al lettore il coraggio di affrontare da nudi la propria esistenza, finalmente liberi e non costretti da abiti che ci travestono non sapendo in fondo mai nulla di noi.