C’è voluta molta determinazione da parte del sindacato Solidaire per fare di questo processo un’azione di gruppo. Convincere le vittime a sporgere denuncia, poi aspettare dieci anni l’apertura del processo… Sempre con l’idea di «costruire un racconto collettivo», il sindacato ha affidato il «diario» del processo a scrittori, giuristi, sociologi e altri che ogni giorno si sono dati il cambio. A questo titolo ho assistito a un’udienza che ha fatto irrompere il peso della «vera vita» nel management delle grandi imprese oggi.

L’udienza è stata dedicata allo studio del caso di tre dipendenti, sottoposti a forti pressioni per ottenere che si licenziassero. Ci sono delle costanti in questa politica manageriale. Prima di tutto, fluidificare la manodopera, disfacendo i gruppi di lavoro. Il terreno era stato preparato da tempo. Lavoratori, che svolgono lo stesso compito, insieme, in uno stesso posto, appartengono a filiali diverse, non hanno la stessa situazione contrattuale, non dipendono dalla stessa gerarchia, di modo che le informazioni che li riguardano non arrivano mai a loro, e vengono fatti rimbalzare da un’istanza all’altra. Alcuni hanno appreso nel corso dell’istruzione giudiziaria che la soppressione del loro posto di lavoro era stata decisa mesi prima senza però che loro lo sapessero, cosa che ha portato a una situazione grottesca: il servizio nel quale due di loro lavoravano da sette anni, trasloca. Ma non hanno ricevuto nessuna informazione specifica. Quindi, raccolgono le loro cose e traslocano, come tutti gli altri. Ma quando arrivano nei nuovi locali, vengono a sapere che no, non hanno lo stesso statuto contrattuale, che non sono previsti nell’organigramma. Chiedono, allora, di incontrare la responsabile del servizio, con la quale lavorano da sette anni. Ma no, non dipendono dalla sua autorità, lei non può ricerverli. Tornano con le loro cose in un edificio vuoto, senza colleghi, senza strumenti di lavoro, senza incarico. Immagino lo shock. E ciò che è più sconvolgente nella storia che ci è raccontata quel giorno, è che i colleghi che hanno traslocato non sembrano preoccuparsi un secondo per la loro assenza. Per forza, spiega il capo, loro non hanno lo stesso statuto contrattuale, quindi…

Di fatto, nel campo delle «risorse umane», troviamo l’esatta copia dei metodi di gestione finanziaria con le scatole cinesi delle filiali, per fluidificare i flussi, truccare i bilanci e sfuggire a ogni controllo. E nei due campi, funziona. I gruppi di lavoro vengono distrutti.

L’attuale segretario del Chsct (Comitato di igiene, di sicurezza e delle condizioni di lavoro) di questa unità di Orange ci racconta invece come si è comportata la direzione durante la «crisi dei suicidi». Il direttore dell’unità è presente a tutte le riunioni e, quando si tratta di studiare il caso del tentativo di suicidio di un dipendente, moltiplica le pressioni. Blocco di una expertise indipendente. Ingiurie e mail minacciose contro il segretario del Chsct, minacce contro sua moglie, dipendente nella stessa società, fino a spingerlo alle dimissioni sull’orlo della depressione; stesso trattamento per l’ispettore del lavoro e il medico del lavoro, che finiscono per andarsene; rifiuto di comunicare le informazioni richieste; pressioni molteplici in tutti i colloqui con i dipendenti. La gerarchia, informata fino ai piani più alti, copre questi comportamenti. Logico. Se vengono distrutti i gruppi di lavoro, bisogna anche liquidare, o piuttosto controllare, le istituzioni rappresentative del personale, svuotandole di qualsiasi autonomia.

Secondo punto-chiave di questa politica manageriale: regnare con la paura. L’obiettivo di liquidare 22mila dipendenti non è nascosto, ma dichiarato alla minima occasione. Ci arriveremo con tutti i mezzi, si vanta l’amministratore delegato, scacciando la gente «dalla porta o dalla finestra». Quindi ogni lavoratore diventa un bersaglio potenziale, e per sfuggire al rastrellamento anticipa la volontà padronale. Rispetta un ordine non detto, ma la cui violazione comporta sanzioni, perciò non ci si avvicina più a un appestato, minacciato di licenziamento. Svolge così un ruolo di complice nella sua liquidazione. Ritroviamo questi complici in tutti i casi studiati.

C’è un profilo-tipo della vittima designata? C’è almeno uno «schizzo». Un dipendente non giovanissimo, che lavora nell’impresa da lunghi anni, investe nel suo lavoro, un quadro inferiore venuto dalla carriera interna all’azienda. Quindi forse un falso quadro dirigente ? Non è detto esplicitamente, ma suggerito. Visto che non ha fatto lunghi studi, è «limitato», incapace di formarsi sulle tecniche moderne. Quindi inutile proporgli corsi di formazione. C’è forse anche l’idea che è meno sicuro di sé dei superdiplomati, che quindi è una preda più facile da demolire e spingere fuori.

Come reagisce questa vittima ideale? Uno dei dipendenti il cui caso era allo studio del tribunale è venuto a testimoniare. Aveva con sé un fascicolo voluminoso con tutti gli atti di procedura che riguardavano il suo caso. Ha parlato per più di un’ora rivolgendosi ai magistrati. Metteva in gioco la sua vita, con tono rabbioso e poi confidenziale, aiutandosi con la gestualità, cercando l’empatia o la complicità dei giudici. Dopo più di un’ora, la presidente gli indica che è ora di concludere e gli chiede: «Che cosa fa oggi?». «Niente, signora presidente. Resto a casa». Mutua, poi invalidità. A casa da dieci anni. Uno tra altre decine, centinaia? Molto a disagio dopo questa testimonianza, chiedo a uno dei sindacalisti che seguono il processo: «Cosa si aspetta quest’uomo dal processo?». Risposta: «Viene ogni giorno, a tutte le udienze del tribunale. Cerca di capire, di ammettere finalmente che non è lui il responsabile della propria esclusione e morte sociale. E per questo, aspetta dal tribunale di sapere chi è il colpevole». Il processo acquisisce tutto il suo senso, tragico.

* Dominique Manotti, giallista, storica, specialista della storia economica del secolo XIX. In Francia (dove pubblica per Gallimard), ha ottenuto i principali premi letterari per il noir: il Prix Mystère de la critique e il Grand Prix de la Littérature Policière. Tra i suoi titoli: Vite bruciate (2006), L’onorata società (2011), entrambi editi da Marco Tropea, e Oro nero (2015, Sellerio). Il suo ultimo romanzo, Racket, (ed. Les Arènes), è ispirato all’acquisizione di Alstom Energy da parte di General Electric. Tra gli illustratori invitati al processo anche Claire Robert. Il suo disegno in questa pagina fa parte del progetto.