Come si trasforma il principale centro urbano di una nazione che si apre al resto del mondo dopo quasi cinquant’anni di isolamento? Una possibile risposta la danno le frequenze sonore intasate di Yangon, le sue piccole e dissestate strade inadatte a ospitare migliaia di automobili arrivate tutte all’improvviso, i cantieri edili con impalcature in bambù e travi portanti in ferro, trasportate a mano sulle spalle di uomini dal muscolo asciutto e teso.

Chi mette piede per la prima volta a Yangon oggi vede una città in fermento, disorganizzata, arrangiata, improvvisata. Sicuramente non può immaginare che questo movimento sia arrivato tutto d’un tratto nel giro di un anno. Le fiumane di pedoni, gli autobus che si inclinano a velocità spericolate, i venditori di oggetti e cibo ammassati per strada c’erano già, ma oggi devono fare i conti con marciapiedi e strade sempre più stretti: anche il Myanmar nel 2013 affronta la penuria di parcheggi.

I nuovi progetti di grattacieli svettanti, oltre alle prime piscine e palestre incorporate, prevedono di dedicare i primi quattro o cinque piani alle auto: non è più un lusso di pochissimi possederne una, ormai è un lusso di pochi. Lo scarto tra pochissimi e pochi si conta, sui cavalcavia, nelle Toyota e nei veicoli non identificabili perché il logo dell’azienda produttrice è stato rimosso (forse cinese, anche qui è un’onta scegliere prodotti di scarsa qualità). Un tassista cerca conferma della sua oculatezza con noi passeggeri foreigners: «È una macchina giapponese, ho scelto bene, no? È di seconda mano, ma i giapponesi fanno buone macchine, non è mica una macchina cinese. Quella mi durerebbe un paio d’anni!». L’auto in questione è stata pagata l’equivalente di 7.800 Euro, di cui circa la metà sono andati al venditore giapponese e all’intermediario, mentre il restante è finito nelle casse dello Stato.

Parte dei trasferimenti di proprietà ricadono sotto una legge che risale al 1882, quando il paese era parte dell’impero coloniale britannico d’India, e solo recentemente il governo ha apportato delle modifiche, tra cui quelle terminologiche, sostituendo a «Governo dell’India» l’attuale denominazione del Myanmar.

Le numerose riforme in corso – come la legge sugli investimenti stranieri, la revisione della tassazione dei redditi, la nuova legge che regolamenta i salari minimi e quella che abolisce l’obbligo di possedere una licenza per importare diversi beni di consumo – stanno dando forma a un paese precedentemente governato al di fuori della legge. La quantità di novità, in assenza di un apparato politico ed amministrativo rodato, fanno sì che numerosi aspetti della vita del paese cadano vittima di avventatezza, abuso e mancanza di controlli adeguati.

La bolla immobiliare scoppiata con l’apertura del paese ne è un esempio: in un contesto in cui mancano uffici attrezzati per soddisfare multinazionali, organizzazioni internazionali e ONG in arrivo, le case indipendenti con standard occidentali sono concesse in leasing a prezzi compresi tra i 3mila e i 20mila euro al mese (nelle zone più ambite, come quella dove si trova l’Ambasciata d’Italia). Il boom di turisti e viaggiatori d’affari ha spinto recentemente il Traders, uno degli hotel di lusso della città, a chiedere all’ONU di liberare alcune stanze occupate da suoi uffici. Per gli altri, nonostante il sistema fognario in molte zone sia inaffidabile, l’acqua corrente arrivi a intervalli, i black out siano frequenti, l’ascensore costituisca un accessorio raro e lussuoso, non vi sia cura delle parti abitative comuni e l’abitudine a masticare betel nut tinteggi di rosso le pareti di condomini appena consegnati, gli stessi appartamenti hanno affitti da capitale europea.

Sebbene il Myanmar abbia optato per una transizione verso la democrazia in continuità con il precedente regime militare, gli illeciti del passato oggi si scontrano con difficoltà prima inesistenti. Ad esempio, dal 2012, il governo ha alzato dall’8 al 30 per cento la tassa da pagare sull’acquisto di proprietà immobiliari, nel caso in cui il compratore non sveli l’origine del proprio reddito. È previsto infatti dalla legge birmana un preciso regime di tassazione per chi mantiene oscura la natura dei proprio guadagni.

Il continuo aumentare dei prezzi di terreni e immobili può avere gravi conseguenze sociali sulla popolazione più svantaggiata. Attratti dal grosso guadagno immediato, gli strati più deboli tra i residenti di Yangon stanno vendendo le loro case per acquistare abitazioni più piccole o meno confortevoli. Ma i prezzi crescono di settimana in settimana e talvolta non è possibile chiudere affari positivi, come riporta Myat Nyein Aye del Myanmar Times. Alcune famiglie sono così costrette a spostarsi in periferia. Come racconta Haymann Oo, residente in una zona rurale della città e impiegata in centro, a causa del traffico congestionato e la qualità del trasporto pubblico, ogni giorno deve passare quattro ore sull’autobus.

Il profilo della città muta: nuovi condomini, i primi centri commerciali con aria condizionata glaciale, cinema 3d, internet café, grossi investimenti come il progetto vietnamita da trecento milioni di dollari che costruirà un parco di hotel e residenze di lusso.

E le abitudini degli abitanti della città cambiano: nei nuovi supermercati è possibile acquistare elettrodomestici e cellulari, prodotti alimentari e cosmetici internazionali, jeans e shorts, tutti beni di consumo arrivati nel giro di un anno a prezzi per la prima volta accessibili dalla ristretta classe medio-alta, costituita da chi ha potuto risparmiare durante gli anni del regime militare, chi ha lavorato all’estero, chi usufruisce di entrate grazie a una proprietà (un appartamento, ma anche un campo di riso). In Myanmar vige la prassi di pagare l’affitto di un’abitazione annualmente e in anticipo. Questo implica, con i prezzi odierni, che molti proprietari si sono trovati nelle mani cifre notevoli. Un appartamento in un nuovo condominio con piscina può portare nelle tasche del proprietario un affitto di 38400 Euro (tassati al 30%, aliquota massima per redditi prodotti da business).

In un paese dove ricollocazioni forzate e confisca di terreni continuano a persistere, l’élite urbana di Yangon, che storicamente ha beneficiato del governo militare, si distacca sempre più dalla maggioranza della popolazione birmana, rurale e senza forti diritti di proprietà su terre e abitazioni.