Entrato anche lui nel club dei frequentatori abituali della Croisette, Nicholas Winding Refn ha presentato questa sua nuova fatica in concorso lo scorso maggio a Cannes. Dopo Only God Forgives, stroncato senz’appello, propone stavolta un thriller spiritualista ambientato nel mondo del fashion losangelino. È la storia di Jessie (Elle Fanning), aspirante modella che si trasferisce nella città degli angeli con tanti sogni di gloria nel cassetto e occhi da cerbiatta che conquistano tutti. Ed è a questo punto che la sua giovinezza e la sua innocenza vengono prese d’assalto da un gruppo di «colleghe» ossessionate dalla bellezza, che fanno di tutto per ottenere ciò che solo lei possiede.
Tutta la prima del film scorre via così, fra movimenti di macchina lentissimi e inquadrature tenute oltre il limite della tolleranza senza alcuna motivazione narrativa che non sia il piacere (autoreferenziale) del cineasta nel contemplare il suo lavoro.

Siamo, naturalmente, nel campo di Showgirls di Paul Verhoeven e, arretrando nel tempo, di Eva contro Eva di Joe Mankiewicz. Il problema di fondo di NWR è che pur ambendo al ruolo di manierista supremo non riesce mai a liberarsi dei fantasmi autoriali che inficiano ogni suo gesto privandolo di piacere e necessità. Orecchiando dal cinema che ama, e del quale vorrebbe essere riconosciuto come legittimo erede, basti pensare ai suoi corteggiamenti mediatici nei confronti di Jodorowsky, Friedkin, Bava Sr., Hooper, e tentando di indossarne i gesti, finisce sempre, fatalmente, per proporre un modello di cinema privo di un pensiero o di movimento proprio.

Nonostante The Neon Demon ambisca a un eleganza esangue e stilizzata, ambendo forse ad essere la versione ultima del sexual chic schraderiano, il resta risulta bloccato nel suo reticolo di influenze.

Da Bava NWR vorrebbe riprodurre la capacità di trasformare movimenti di macchina e colori in sostitutivi drammatici di personaggi appena abbozzati; da De Palma il desiderio di costruire un mondo di geometrie pure; da Argento il piacere erotico delle lame e del sangue e così via in un catalogo che si estende virtualmente quasi all’infinito. Il tutto è talmente inerte e paradossalmente scritto da risultare «autoritario proprio come il mondo del quale vorrebbe essere una satira. E che dire poi di tocchi «allegorici» pesantissimi come Jena Malone artista del make up che nel tempo perso si reinventa cosmetista funebre?

Incapace di articolare sia il camp che il kitsch, NWR si offre con The Neon Demon come parodia di se stesso.

Cineasta strozzato dal suo stesso hype la cui poetica si limita a un sistema di segni inerti che aspira solo a essere riproducibile all’infinito, in perversa coerenza pubblicitaria, NWR sembra ormai incapace di sfuggire a se stesso. Probabilmente avrebbe dovuto studiarsi meglio Sotto il vestito niente di Vanzina (e lo si afferma senza alcuna ironia) lasciando da parte gli ingombranti fantasmi di una rete di paternità castranti in grado di evocare sole maldestre emulazioni.