Il lungo assedio politico al ministero della difesa si è concluso con l’annuncio delle dimissioni della ministra Tomomi Inada e del capo dell’esercito, il generale Toshiya Okabe.

TUTTO È INIZIATO un anno fa nei pressi di Juba nel Sud Sudan: nei pressi del campo delle truppe giapponesi, parte della missione Onu, si accesero «pesanti combattimenti armati con uso di carri e mortai». Proprio queste parole, usate nei rapporti delle «Forze terrestri di autodifesa (l’esercito giapponese) sono all’origine delle recenti dimissioni.

IL RAPPORTO – secondo le inchieste di media e parlamento – fu distrutto dall’esercito, prima che potesse essere conosciuto dall’opinione pubblica, ma soprattutto prima di un sensibile voto per l’allargamento dei compiti militari della missione giapponese. Il parlamento approvò l’estensione del mandato perché il governo, minimizzando, si era riferito a semplici «scontri».

IL PUNTO GIURIDICO è proprio questo: la Costituzione nipponica proibisce la partecipazione a una guerra e il governo avrebbe dovuto ritirare le truppe in presenza di veri e propri conflitti internazionali armati e senza un cessate il fuoco in atto. A febbraio il rapporto è stato ritrovato negli uffici dello stato maggiore congiunto delle forze armate.

LA STAMPA E L’OPPOSIZIONE a quel punto hanno mosso alla ministra le accuse di complicità nell’insabbiamento, cosa che lei ha sempre negato. Nel frattempo la missione in Sud Sudan si è conclusa in tutta fretta e le ultime truppe giapponesi hanno fatto ritorno in patria già a maggio. L’operazione era un primo passo della politica revisionista del governo Abe che vuole il ritorno del Giappone a potenza militare e mal sopporta il limite pacifista imposto dalla Costituzione, che ha più volte proposto di riformare. Inada, considerata una protetta di Abe, in linea con il revisionismo nazionalista del primo ministro: dalle visite a Yasukuni, il santuario dove si onorano anche i criminali di guerra giapponesi, fino alle riforme dell’educazione e della Costituzione.

NEGLI ULTIMI MESI la sua posizione è diventata sempre più difficile da difendere e già circolavano voci insistenti che non sarebbe sopravvissuta a un imminente rimpasto di governo. Ha scelto la resa.