Arriva un momento in cui si avverte il desiderio, o il bisogno, di raccontare la propria storia. Il mutamento vorticoso sembra essere una costante del neoliberismo. Vorticoso perché non ha una direzione unica, a volte si manifesta come innovazione, altre come restaurazione.

SCRIVERE DI SÉ, allora, è utile a capire il presente non solo a ritrovare emozioni perdute. Non di rado ha una valenza terapeutica perché consente di avere cura della propria storia, di salvare la memoria del vissuto. Noi siamo la nostra memoria anche se spesso i ricordi collettivi vengono depistati, costretti a fossilizzarsi in un’etnografia dei consumi. La stessa Ostalgie, la nostalgia per i tempi della Ddr è stata rappresentata come nostalgia per alcuni prodotti di consumo. E i social traboccano di gruppi che rimpiangono il tempo dei gettoni del telefono, delle musicassette, di questa o quella marca di merendine o blue jeans. La nostalgia o è consolazione o resistenza. Nel secondo caso, la memoria è un campo di battaglia non solo nella dimensione della macrostoria ma anche in quella più intima, ma non meno politica, dell’autobiografia. La memorialistica sugli anni ’70 è sicuramente una reazione alla damnatio memoriae di quel decennio che è stato tutto meno che anni di piombo.

È SU QUESTA SCIA che si può leggere Storie minime di ragazzi di periferia (pp.141, euro 13), scritto da Massimo Gentile per i tipi di Edizioni del Faro. Gentile, nato negli anni ’60, appartiene a quella generazione cresciuta dentro la poderosa spinta egualitaria ed emancipativa scaturita dalle lotte e dai movimenti sociali. Lui quei cambiamenti li ha vissuti in una periferia romana abitata da un proletariato multiforme ma solidale, mentre la città stessa cambiava pelle prima sotto la spinta delle rivendicazioni sociali, con il cambio di amministratori, Nicolini, Petroselli, poi nella furia restauratrice difficile da intravedere nell’immediato fatto, come spiega Sergio Bologna, da un «groviglio di spinte che si esauriscono e di novità che si sprigionano».
Il prisma che l’autore utilizza per dipanare la propria matassa è sempre quello generazionale, di un’educazione sentimentale (campeggi rocamboleschi, viaggi in autostop, feste, gare sportive, scritte sul muro) che è anche presa di coscienza politica. Da parte sua sceglierà la militanza in Democrazia proletaria (mai citata ma facilmente riconoscibile) mentre altri sceglieranno la strada della lotta armata e intorno a loro fioriranno i riflussi consumisti, nelle forme ludiche dell’omologazione o tragiche dell’eroina.

È UNA STORIA MINIMA, quella di Gentile, dentro cui ci si può riconoscere chiunque abbia studiato in edifici scolastici di fortuna, facendo i doppi turni, giocando a calcio in piazzali polverosi, vivendo sulla propria pelle la lontananza dal centro di una borgata romana ma anche provando a mettere tutto in discussione a partire dalla famiglia e dalla scuola. A disagio, oggi come allora, per un mondo in cui tutto o quasi si misura coi valori del mercato.

La presentazione oggi alle 17 alla Biblioteca Rugantino di Roma con l’autore e Livia De Pietro.